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QUELLO CHE NON TORNA

Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro

Basta mettersi al fianco invece di stare al centro

Tu non cercare la felicità, semmai proteggila.

Simone Cristicchi “Abbi cura di me”

Il valore delle cose è sempre relativo. Ad esempio, quando una cosa non c’è più, il suo valore aumenta immediatamente. Ma in genere ce ne accorgiamo tardi. E’ quello che non torna. Cioè: che non torna più.

La vita è fatta di cose che non tornano. Di distacchi, di fotografie che sbiadiscono. “Staremo insieme per sempre”, mi diceva emozionata la puffetta stringendo il suo nuovo orsetto di peluche tanto desiderato. E’ il concetto di “per sempre” dei bambini: vivere così intensamente come se il momento presente fosse eterno. Ma la memoria ci tradisce: siamo convinti che ci ricorderemo sicuramente di quel momento o di quel volto o di quel discorso… Ma spesso non è così. Tutto sbiadisce, cambia forma, se ne va. Ciò che invece resta “per sempre” è l’emozione.

Per questo è così importante il tipo e la qualità delle emozioni su cui uno costruisce e basa la sua vita. Quelle ti accompagneranno sempre. E quella da evitare come la peste è il rimpianto, il rammarico, quando ormai è tardi.

Per questo è così essenziale non perdere tempo, non farsi travolgere dalla ruota del criceto che gira vorticosa. Non vivere per compiacere gli altri, o fare ciò che si pensa gli altri si apettino da noi. Non perdere tempo dietro gente che non merita; non star lì a farsi un sacco di scrupoli, aspettando la ricompensa, pensando che ci verranno riconosciute la correttezza e il buon lavoro svolto. La medaglia, o una manciata di croccantini come si danno al cane che ha ubbidito. Pronti comunque alle ritorsioni, dato che se uno dice quello che pensa e agisce con coerenza e correttezza si scontra spesso con la permalosità della gente.


C’era la puffetta imbronciata e ferita perché un gruppetto della sua classe la teneva un po’ in disparte e non l’aveva invitata a una festa. “Guarda che sono loro gli stupidi” le dicevo mentre mi guardava mogia. “Sono loro che non ti meritano. Non hanno capito cosa si perdono. E’ un problema loro, non tuo. Vai avanti, passa oltre e troverai gente che capisce il tuo valore”. Non posso scordare l’emozione di vederle affiorare un sorriso, il cuore alleggerito.

Come dice il proverbio:


“Prima di diagnosticarti una depressione o una bassa autostima, assicurati di non essere semplicemente circondato da stronzi.”


E ora che si fa?

E’ quasi ora di prepararsi al Grancataclisma o al Grancollasso o al Grantraballo, chiamatelo come volete.

Che però secondo me non arriverà né dall’oggi al domani, né sarà una botta e via. Quindi è inutile darsela a gambe levate, vendere tutto e scendere nel rifugio anti atomico.

Purtroppo in rete e sui media e in banca e dalla Bella Figheira (e al bar) ci sono due sport preferiti: quello di avere sempre pronto l’investimento caldo per il momento attuale, giusto giusto per guadagnare e basta; e quello di seminare il panico con discorsi da cataclisma, tipo “torneremo alle lire domani, poi vi requisiscono la casa e i Btp saranno carta straccia e neanche gli alieni – quando ci invaderanno – li accetteranno”… Il motivo per cui i media in genere, i siti finanziari, i forum etc. abbondano di queste cose è semplice: vogliono tenervi incollati, che così aumentano i lettori, gli utenti, la pubblicità… Il problema è che c’è un sacco di gente che ci passa un sacco di tempo dietro. Quel tempo che non torna, non torna più. Un vero peccato.

Comunque, come ben sanno i lettori di lunga data, qui a Bassa Finanza non abbiamo certo una visione rose&fiori. Ma, come dicevo, non è detto che ci sarà un evento breve e intenso, tipo crollo con rimbalzone del 20%, come successo da ottobre scorso a oggi praticamente su tutti i mercati.

Gli eccessi di questo decennio di alta finanza, di trucchi e ingegneria finanziaria, sono ormai tali che probabilmente, quando il vento cambierà, avremo un lungo periodo di depressione. Un periodo di quelli grigi, dove sarà difficile trovare qualcosa che funzioni per avere un rendimento. Per non parlare della protezione del capitale. Si ballerà di qua e di là, in su e in giù. Un Grantraballo.


I segnali di un picco in arrivo non è che manchino. Ad esempio, grazie ai tassi tenuti artificiosamente bassi, le aziende si sono indebitate come non mai. Negli Usa il corporate debt è arrivato a livelli record in percentuale rispetto al Pil della nazione. Sono quasi 10 trilioni (diecimila miliardi di dollari). E, come si vede dal grafico, a ogni picco del debito corrisponde poi un periodaccio in Borsa:



Il fatto che sia così facile per un’azienda finanziarsi, anche con l’emissione di bond, ha portato a un progressivo deterioramento della qualità del credito, cioè delle obbligazioni. Oggi tutte le signore Pine del mondo (e i fondi pensione) fanno la fila per accaparrarsi i bond al 2% di quell’azienda che solo qualche anno fa nessuno avrebbe neanche preso in considerazione perché troppo rischiosa.

Così, sotto una superficie apparentemente calma, abbiamo una marea che monta. Oggi circa 7 trilioni di dollari di bond hanno un rating assegnato dall’agenzia Standard &Poor’s. Di questi, l’85% (6 trilioni, cioè seimila miliardi) ha un rating “investment grade” (categoria etichettata con voti che vanno da AAA e scendono fino a BBB), cioè sono considerati poco speculativi, sufficientemente sicuri. Un buona notizia, no? No.

La realtà sotto la superficie svela un trend preoccupante. Oggi circa la metà dei bond investment grade (cioè circa tremila miliardi) ha un rating BBB. Cioè il 50% delle obbligazioni definite “sicure” è in realtà posizionato in bilico sull’ultimo gradino (da AAA a BBB) prima di precipitare nel dirupo dei junk bond (obbligazioni spazzatura).

Negli anni ‘90 i bond BBB erano solo il 25% del totale della categoria investment grade. Nel 2000 si era saliti al 33%, e subito prima della crisi del 2008 eravamo al 37%. E oggi 50%.

Tanto per dare un'idea: secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (una sorta di banca centrale delle banche centrali), oggi il 16% delle aziende Usa sono "zombie company", cioè aziende i cui profitti annui non bastano neanche a pagare gli interessi sul debito. E sopravvivono solo perché il debito viene continuamente rifinanziato grazie ai tassi bassissimi.

Ciò significa che bastano un po’ di crisi, un po’ di guerre commerciali cinesine, un rialzino dei tassi… ed ecco che in un battibaleno tremila miliardi di obbligazioni (detenute da fondi, fondi pensione, etf, dalla signora Pina che gli hanno detto “rende il 3%, stia tranquilla”…) possono scivolare nella spazzatura. Con conseguente collasso del prezzo. Chilavrebbemaidetto.

Ma nel frattempo moltissime aziende stanno usando i soldi presi a prestito emettendo bond, per ricomprare le proprie azioni (buyback). Facendo in questo modo salire il prezzo delle azioni. E se il prezzo in borsa sale, allora l’azienda viene considerata una figata pazzesca e tutti la vogliono; e così tutti continuano a comprare anche i bond dell’azienda, dandogli altri soldini con i quali loro continuano a ricomprare le proprie azioni. Praticamente si indebitano per ricomprare sé stessi. Di fatto le aziende stanno aumentando la leva finanziaria. Il che ricorda parecchio la bolla immobiliare del 2005/2008, quando le banche regalavano i mutui alla gente, così tutti si precipitavano a comprare le case, e grazie all’aumento della domanda i prezzi salivano e la stessa gente tornava in banca e diceva: “Hallo, il primo mutuo che mi hai dato era per comprare la casa che valeva 100, ma oggi la mia casa vale 150 per cui dammi un altro mutuo da 50, che tanto hai la garanzia dell’immobile”. No problem, e le banche prestavano altri soldi. Tutto ciò portò poi alla creazione di prodottini di ingegneria finanziaria, i derivati, legati ai mutui e al valore degli immobili. Solo che, appena i prezzi cominciarono a scendere, il castello di carte franò (la crisi dei mutui subprime) innescando la più grande crisi finanziaria globale dai tempi dell’uomo di Neanderthal. Chissà come andrà a finire questa volta.


Nel frattempo, come sappiamo, gli investitori sono costretti ad aumentare la componente di rischio nel portafoglio se vogliono sperare di ottenere qualcosa. Grazie alla follia dei tassi negativi, di cui un giorno parleranno i libri di storia.

Così abbiamo i dati della Federal Reserve Usa che pubblica la Average Equity Allocation (allocazione media azionaria) nei portafogli degli investitori. Oggi siamo al 45%: quasi la metà dei soldi degli americani è investita in borsa. Negli ultimi 50 anni un livello medio così alto di azioni nei portafogli si era visto solo nel 1968 (cui seguì un periodo orrendo per la borsa fino a primi anni ’80) e subito prima della bolla tecnologica del 1998-2000. E quello che è successo dopo non è stato piacevole per i portafogli.

Non che i mercati siano crollati subito: dopo il picco dell’Average Equity Allocation a metà 1998, i mercati sono saliti a razzo fino a marzo 2000. Ma dopo il Grancataclisma ci sono voluti 7 anni (di carestia) prima di rivedere il pareggio nell’indice S&P 500, e 15 anni sono passati prima che il Nasdaq (l’indice dei titoli tecnologici, in voga ora come allora) tornasse a toccare i livelli del 2000. Tutto questo solo per dire che il futuro è certamente grigio, ma forse non da subito.


Comunque, proprio come allora, stiamo assistendo alla nascita della mania da Ipo (Initial Public Offering, cioè il collocamento di un’azienda in Borsa). Negli ultimi mesi sono stati parecchi i titoli schizzati di oltre il 50% il giorno stesso del collocamento. L’altro giorno ha fatto il suo debutto sul mercato Beyond Meat (Oltre la Carne), azienda che produce hamburger e salsicce vegetariane che a quanto pare hanno un sapore e una consistenza migliori rispetto a quei pastoni di soia che si trovano oggi in commercio. Il tema è certamente di grande interesse, solo che il titolo ha fatto +163% il primo giorno di contrattazioni, e oggi a tre settimane di distanza siamo a +220%.

Per chi se lo stesse chiedendo… ebbene sì, i F.lli Boscoli l’hanno comprato subito prima che salisse (“Quando sale si vede”, dice il loro motto). E mi hanno garantito che lo venderanno subito prima che collassi. In fretta, perché quando scende va più veloce di quando sale.

Comunque il fenomeno della mania da Ipo ci dice un paio di cose. La prima è che molti investitori si affrettano a comprare per paura di perdere il treno. E questo non è un buon segno. L’altra cosa altrettanto nefasta è che, sempre grazie ai tassi bassi e la facilità di finanziarsi, i fondi di Private Equity stanno letteralmente pompando il valore delle aziende dove investono (quando ancora sono private e quindi non quotate) prima di portarle in Borsa.

Attenzione però, l’84% delle aziende quotate nell’ultimo anno non fa profitti, anzi: è in perdita. Ripeto: in perdita. Una percentuale simile all’86% dei tempi della bolla tech del 2000. Quindi,vengono collocate aziende che perdono soldi, ma il cui titolo schizza in Borsa. Perché?


Uno: perché c’è sempre più gente che comincia a sentirsi come guru vincenti e compra di tutto, anche nel timore di perdere l’occasione della vita.


Due: perché i fondi di Private Equity hanno inondato di soldi queste aziende per pomparne il valore. Sanno benissimo che sono aziende in perdita (non sono mica scemi), spesso anche castelli di carta, ma quello che a loro interessa è che il prezzo salga per poi rivenderle ai soliti ultimi arrivati, il cosiddetto “parco buoi”.

Oggi ci sono aziende come Uber, appena quotata, che riescono a perdere un miliardo di dollari a trimestre (ripeto: 1 miliardo) e non si riesce a capire come possa essere giustificata una valutazione di 70 miliardi in borsa. La cosa certa è che grazie a questa valutazione il titolo entrerà in molti indici azionari che scelgono i propri componenti in base al valore di mercato.

In pratica, i titoli più capitalizzati entrano a far parte dell’indice. Così, tutti i fondi indicizzati e gli etf (che tanto piacciono perché costano meno) compreranno automaticamente gli indici con dentro i titoli ipergonfiati. E l’ondata di acquisti li farà ovviamente salire ancora. A quel punto si presume che i fondi di Private Equity si libereranno della zavorra. Mica scemi.

A questo punto la domanda da porsi non è se queste cose accadranno, ma quando.


E quindi, ora che si fa?


Beh, sperando di avere un po’ di tempo a disposizione, qui stiamo pensando di preparare un portafoglio apposito: il Portafoglio Grigio. Adatto ai tempi che ci aspettano.


Il problema è che la correlazione fra i vari asset finanziari negli ultimi 20 anni non ha fatto altro che salire. Effetto della globalizzazione e interconnessione dei mercati in tempo reale: tutto tende a scendere insieme, come visto a fine 2018 quando borse e bond venivan giù in coppia. C’è però un’eccezione che vale la pena ribadire, anche a costo di essere monotono: il gold.

Ecco come si è comportato l’oro negli ultimi 30 anni nei periodi in cui le borse calavano pesantemente:




In media quindi, l’oro ha guadagnato l’8% mentre le borse perdevano il 27%.

Una tendenza confermata anche nei mesi scorsi, quando l’oro (linea azzurra nel grafico sotto) saliva mentre il Nasdaq affondava del 20% e più:



Così, parlando di costruzione di portafogli, mi pare utile riproporre quanto scritto un anno fa (come passa il tempo, che non torna…).

Grazie a Francesco Caruso e al suo team di Cicli & Mercati abbiamo un’analisi dettagliata dell’andamento di vari tipi di portafogli negli ultimi 18 anni che trovo interessantissima - come tutto il suo lavoro – e che qui ripropongo:


Abbiamo quindi i rendimenti annui e la media di periodo (1999-2017 e 2009-2017) per varie tipologie di portafoglio indicate nelle colonne: solo bond in euro, solo azioni (equity, azioni globali), hedge funds (Hfri), solo cash, solo gold…

Poi ci sono due portafogli bilanciati: 60% bond-30% azioni-10% gold (che chiameremo 60/30/10) e 30% bond-60% azioni-10% gold.

Esaminando attentamente i dati si scopre che nel periodo 1999-2017 il miglior portafoglio in assoluto in termini di efficienza, con il miglior rapporto fra rendimento e rischio (STD nella tabella, cioè Standard De