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TUTTO IL RESTO PASSA

“In un'epoca di cambiamenti, quelli che ancora imparano ereditano il mondo. Mentre coloro che hanno smesso di imparare, si trovano splendidamente equipaggiati per confrontarsi con un mondo che non esiste più.”

Eric Hoffer

Le persone migliori che ho conosciuto sono quelle che hanno affrontato prove difficili, combattuto la lotta, conosciuto la perdita, e hanno trovato la strada per riemergere.

Elizabeth Kubler-Ross

Ogni tanto sento dire che siamo in mezzo alla peste del 21° secolo. Speriamo di no, visto che le epidemie di peste bubbonica che periodicamente hanno flagellato l’Europa a partire dal ‘300 e fino al ‘700, ogni volta si portavano via mediamente il 30% della popolazione (e in molte città anche il 50% e più)…

Il problema come sempre sono le news blabla, con i media che sembrano fatti apposta per scatenare panico e inquietudine; e anche la nostra mente che non riesce proprio a fare a meno di pensare negativo. E pur di non rinunciare alla dose di magma mediatico deprimente, ci giustifichiamo dicendoci che dobbiamo essere informati e aggiornati. Come se, con un tiggì o un dibattito con gli “esperti” in meno, si rischiasse di perdere chissà cosa. Se non guardi tutti i tiggì peste ti colga si potrebbe dire…

Comunque, alcuni punti in comune con quelle terribili pandemie del passato in effetti ci sono.


Prima di tutto anche allora le epidemie originavano dalla Cina, o zone limitrofe, sempre in Asia. Che a uno gli viene da chiedersi, ma cos’hanno laggiù che non va?


Il secondo punto che mi pare in comune è che anche allora gli scienziati e gli esperti, pur dandosi un sacco da fare, in realtà brancolavano nel buio, o giù di lì. Un po’ come avviene ancora oggi con tante malattie.

All’epoca si era convinti che la peste originasse da miasmi venefici, cioè vapori velenosi, prodotti dalla materia in putrefazione e dalla sporcizia, frutto delle pessime condizioni igienico-sanitarie dell’epoca. I medici credevano che questi miasmi, oltre a essere respirati, si attaccassero alle persone, ai vestiti, alle cose, diffondendo così il morbo.

Ci sono voluti oltre 500 anni per capire che la peste in realtà proviene da un bacillo chiamato Yersinia pestis, di cui i ratti erano portatori, con le pulci che fungevano da veicolo di trasmissione dai roditori infetti all’uomo. Dove la povertà e la sporcizia diffusa nelle case favorivano la proliferazione sia dei ratti che delle pulci.

Ma, pensando ai vapori infetti che si respirano e si attaccano ai vestiti, a partire dal ‘600 i dottori iniziarono a indossare una tuta particolare fatta di tela cerata, e una sinistra maschera con il naso a forma di becco d’uccello (con la punta imbevuta di profumi e presunti disinfettanti). Si supponeva infatti che in questo modo i miasmi non si sarebbero attaccati agli abiti cerati scivolosi. Il fatto che la cosa in qualche modo funzionasse, convinse la scienza della bontà della teoria dell’aria avvelenata. Teoria che rimase in vigore per diversi secoli. Ma la realtà è che con quella tuta addosso erano le pulci infette che non riuscivano ad attaccarsi e mordere i dottori…


Come dice Carlo M. Cipolla nel saggio “Il pestifero e contagioso morbo”:


“La lezione della storia è che fin troppo spesso le persone trovano più facile manipolare i fatti per adeguarli alle proprie teorie, che adattare le proprie teorie ai fatti osservati”.


Il terzo punto ha a che fare con le conseguenze economiche delle epidemie (e delle azioni intraprese per contrastarle).

La caratteristica principale delle quarantene di allora era che non servivano praticamente a una mazza, dato che ratti e pulci continuavano a circolare liberamente. E, anzi, confinare la gente in casa aumentava sporcizia e pulci. Peggiorando le cose.

L’effetto principale che avevano tali misure restrittive era invece quello di devastare l’economia. Dai dati dell’epoca, ad esempio, apprendiamo che quando a Firenze nel 1630 venne decretata la quarantena, la città dovette sostenere costi enormi (ad esempio per fornire cibo a chi era isolato), e in poco tempo il numero di poveri e bisognosi aumentò da 12.000 a 30.000. In pratica la disoccupazione aumentò del 150%.

Conclude Cipolla, nel suo saggio del 1981:


“Oggi come nel seicento, quando la gente brancola nel buio, i costi sono sproporzionati ai benefici”.


Con questo non voglio certo dire che oggi si brancoli nel buio come allora.

E’ che ho una sorta di allergia. Cioè, quando sento queste news dove si parla di previsioni sull’andamento dell’epidemia, e di modelli matematici e proiezioni statistiche costruite al computer dagli scienziati in base a formule varie… non riesco a fare a meno di pensare ai mercati finanziari. E di quanto i modelli previsionali e le formule a tavolino non abbiamo mai funzionato nella realtà dei mercati. Creando semmai false certezze, convinzioni errate; e impedendo di vedere altri tipi di rischi, come ad esempio nei grandi crolli del 2008. Che quando alla fine se ne sono accorti, l’unica esclamazione è sempre stata: “Chilavrebbemaidetto”.

E poi, a sentire gli esperti e i bollettini nei tiggì sembra che prima in Italia praticamente non ci fossero decessi.

Invece, se uno scava un po’, trova magari un articolo di una rivista scientifica specializzatissima, come l’“International Journal of infectious diseases”, pubblicato nel novembre 2019 e dal titolo suggestivo:



Dove si narra che:

Negli anni recenti, l’Italia ha registrato picchi di mortalità, in particolare fra i più anziani durante le stagioni invernali…


Ad esempio nell’inverno 2014/2015, si sono verificati in totale 54.000 decessi in più rispetto al 2014. Il tasso di mortalità in Italia più alto dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, sempre secondo l’articolo. Ma nessuno sa dare una risposta soddisfacente a questo aumento, se non menzionando la stagione particolarmente fredda e l’avanzata età media della popolazione.

Circoscrivendo poi l’indagine ai decessi legati in qualche modo a complicazioni derivanti dalle epidemie di influenza, l’articolo rileva che durante l’inverno 2016/2017 si sono registrati quasi 25.000 decessi in più rispetto all’anno prima.

Ora, magari mi sbaglio, ma me non sembrano numeri da poco. Solo che non mi pare di averli sentiti menzionare dai media, concentrati come sono a dare solo i numeri di oggi. Forse perché l’articolo è in inglese e non l’hanno letto…

Con questo non voglio inserirmi negli accaniti dibattiti in corso, né sminuire la portata del problema attuale, e tanto meno la fondamentale attività in prima linea degli operatori sanitari in emergenza. E’ evidente che c’è stato un pericoloso momento di grande crisi, con un virus pericoloso ed estremamente contagioso cui eravamo impreparati, e di cui i più deboli in particolare hanno fatto maggiormente le spese…


Ciò che mi preoccupa di più sono quelli che – oggi come in passato - si basano su convinzioni che potrebbero essere errate, e poi si basano su modellini previsionali statistici e nel frattempo però decretano il blocco dell’economia (blocco che ovviamente non riguarda le burocrazie e la selva di adempimenti, che invece aumentano).

Rischiando così che moltissime persone dovranno forse preoccuparsi di più per le conseguenze economiche, piuttosto che per il virus in sé.

Ad esempio, negli Usa le richieste di sussidio di disoccupazione hanno avuto un picco mai visto nella storia, dove i picchi verificatisi nelle recessioni precedenti sembrano piccole increspature nel grafico:




In pratica, aggiornando il grafico, più di 26 milioni persone sono improvvisamente diventate disoccupate nelle ultime cinque settimane. Se li aggiungiamo ai 7 milioni che lo erano già, otteniamo un tasso di disoccupazione del 20%. Alla Federal Reserve stimano che prima che le cose migliorino si arriverà a 47 milioni di disoccupati, cioè il 32% della popolazione attiva. Numero molto maggiore del picco raggiunto durante la Grande Depressione degli anni ’30.

Perché un ristorante chiuso non implica solo camerieri disoccupati, ma anche i fornitori che non vengono pagati (e quindi a loro volta licenziano) e i produttori che producono meno; i proprietari degli immobili che rischiano di non ricevere l’affitto; le rate da pagare e le tasse che invece continuano a correre… eccetera.

Siamo in un mondo interconnesso.

Come recita l’antica filastrocca (che pare risalire proprio ai tempi della peste, nel ‘300…):


Per colpa di un chiodo si perse un ferro di cavallo.

Per colpa di un ferro si perse il cavallo.

Per colpa di un cavallo si perse il messaggero.

Per colpa del messaggero si perse il messaggio.

Per colpa del messaggio la battaglia fu persa.

Per colpa della battaglia, si perse il regno.

E tutto per colpa del chiodo di un ferro di cavallo.


Se c’è una cosa che nel mondo attuale serve per far muovere l’economia, è certamente il petrolio. Nonostante tutti i dibattiti e i buoni propositi sulle energie alternative, si stima che almeno il 35-40% dell’energia nel mondo sia prodotta tramite il petrolio (oltre il 60% negli Usa). Poi c’è un 30% di carbone, 20% di gas e le altre a seguire (fra cui eolico 2% e solare 1%)

Il crollo recente e repentino del prezzo del petrolio indica quindi che il ritmo dell’economia è semplicemente crollato: non si consuma, quindi ce n’è troppo e quindi il prezzo scende.

E’ la legge dell’economia dei consumi in cui viviamo.



Detto questo vorrei però evitare di alimentare le Cassandre. Sarà per la primavera, ma mi pare che dalle tane siano usciti parecchi di quei personaggi che sembrano divertirsi (o guadagnare) seminando un po’ di panico. Erano ibernati da tempo, così ora forse cercano di recuperare. Praticamente se uno non si becca il coronavirus, è certo che morirà di fame disoccupato; e se le scampa entrambe diventerà comunque povero per la patrimoniale che a sentir loro si abbatterà a breve come una mannaia sui risparmi degli italiani.

Ovviamente non so cosa succederà. Ma so che vivere così è davvero difficile.

Qualcosa che genera uno stato d’animo negativo, come la rabbia o la disperazione, la preoccupazione che ti appesantisce, non andrebbe seguito ma scansato.

Questi personaggi si giustificano dicendo, per agganciare l’attenzione, che bisogna sapere, bisogna essere “consapevoli”.

Consapevolezza è una parola molto abusata oggi.

Ma se la consapevolezza significa vivere nell’incubo e con i mal di stomaco, preferisco essere ignaro.

Consapevolezza per me è un’altra cosa.

Significa rendersi conto che nel disegno infinitamente più grande delle cose, ciò che stiamo passando non è che un breve attimo.

Un momento difficile, che supereremo, come sempre, adattandoci al cambiamento. E di tutto ciò rimarrà solo un ricordo un po’ sfocato. Come quei momenti che mentre li vivi dici: “me lo ricorderò per sempre”, e dopo un po’ invece già non è più così nitido…

Siamo fatti così, per fortuna. Destinati a dimenticare per andare oltre.

“Per sempre” è solo un sentimento nel cuore, se lo coltivi, lo purifichi e lo proteggi con cura.

E’ tutto ciò che resta.

Come dice Richard Bach:

“Vivi così da non doverti mai vergognare se qualsiasi cosa tu abbia fatto o detto viene pubblicata in tutto il mondo”.

Consapevolezza è quando vivi conscio che ogni tuo pensiero, parola o azione ha delle conseguenze.

Quando sai che quest’oggi non torna più.

E’ fare ciò che si ama fare e non ciò che si pensa agli altri vada bene. Superare la paura di perdere qualcosa. Non avere rimpianti

Tutto il resto passa.

Scrive Marlo Morgan, autrice del romanzo “E venne chiamata due cuori”:

“C’è un tempo vivo e un tempo non-vivo.

Una persona è non-viva quando è adirata, triste, quando è addolorata per se stessa oppure ha paura. Non basta respirare per potersi definire vivi…

E' giusto mettere alla prova le emozioni negative, ma certo esse non costituiscono un luogo dove sia saggio restare”.

E ORA CHE SI FA?

(lo scaricabarile)





Come si diceva, il prezzo del petrolio negli ultimi due mesi è crollato, passando da 60 dollari al barile ai circa 20 attuali, con un -65% abbondante da inizio anno.

Ma l’altro giorno, mentre davo un’occhiata ai prezzi mi sono imbattuto in questa visione surreale:



Un barile di greggio era arrivato a costare 3 centesimi, perdendo il 99,84% del suo valore rispetto a inizio giornata.

Non ho fatto in tempo a stropicciarmi gli occhi, ipotizzando errori vari del computer, che sullo schermo è apparso questo: