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UN’OTTIMA ANNATA



Mulanje Massif, Malawi - Photo ®USGS Unsplash

“Ognuno di noi si crea una sua propria realtà e poi finisce per trascorrere il resto del tempo a lamentarsene.”

Virgile Stanislas Martin


“Chi si lamenta avvelena anche te. Digli di smettere”.

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Se avete perso l’evento di fine anno mi dispiace. Pochi giorni fa si è tenuta la convention di Bassa Finanza, dove ovviamente eravate tutti invitati. Ma Dolores deve aver fatto un po’ di confusione con la spedizione degli inviti.

Anche perché, oggi quando vai alle Poste devi farti il segno della croce. Primo per sperare che non ci sia davanti a te un plotone di agguerrite vecchine dai capelli azzurrini con bollette da pagare e pensioni da ritirare (20 minuti a testa). Ormai negli uffici postali c’è chi si attrezza per l’attesa con sacchi a pelo e fornellini da campo per il vitto. E poi devi farti il segno della croce per avere la fortuna di trovare un postino che consegna la tua lettera entro un ragionevole lasso di settimane.

Può darsi quindi che Dolores non abbia calcolato i tempi giusti, e l’invito per la Conferenza di Natale spedito a dicembre vi arrivi a Carnevale.

Peccato, perché è stato un bell’evento. Sponsorizzato dalla Banca Traballa De Luxe Private, si è svolto nel prestigioso castello della contessa Ildegarda Bocciolini Cicciolini nei Bollicini, con la degustazione di prosecco guidata dal frizzante marito sommelier Jean Marie De L’Etilic. A seguire, il buffet di Gran Gala a base di vol au vent du jour avant e tortellini alla panna.

In onore ai princìpi di sostenibilità etico ambientale, al castello non si butta niente, ma si applica la cosiddetta “economia circolare”, quella che ricicla per dare nuova vita ai prodotti esausti. Così, anche i tortellini alla panna del party nuziale della sera prima sono tornati in tavola presentati come piatto bio a km zero (nel senso che erano già in cucina da 3 giorni, mentre l’arista pare si sia invece rifiutata di fare su e giù dalla cucina al salone degli eventi per la terza volta). Ovviamente il tutto al prezzo di un tre stelle Michelin: la qualità si paga, come dicono sempre i clienti della Banca De Luxe quando firmano dove la Bella Figheira ha messo le crocette.

Ad ogni modo, dopo il sontuoso buffet si è tenuto il convegno. Ilario il Funzionario ha introdotto il tema con parole brillanti e sorriso servizievole, particolarmente serafico. Forse anche perché lui quest’anno ha vinto tutti i premi, bonus e incentives in tutte le categorie: la polizza più cara (con tanto di certificazione del Guinness World Record), il maggior numero di polizze appioppate allo stesso cliente (8 in un colpo solo alla signora Pina), la polizza sottoscritta dal cliente più anziano (nonno Armando, anni 97, affezionato cliente dal 1946, che ovviamene pensa di meritarsi per questo un trattamento di riguardo), e così via…


Comunque, il tema della serata era:


“Ora che i mercati sono saliti, bisogna vendere prima che scendano, per poi ricomprare a prezzi più bassi quando si vede che risaliranno?


Tutti gli invitati (tranne quelli messi ko dalla panna bio) fremevano di interesse per la risposta a questo fondamentale quesito.


Per fortuna l’organizzazione aveva fatto le cose in grande, invitando come ospiti d’eccezione nientemeno che i F.lli Boscoli, i famosi guru dell’investimento con il senno di poi (che come ci ricordano sempre: è una scienza esatta).

In un lungo e articolato intervento denso di significato, Livio e Ugo Boscoli hanno ribadito all’uditorio l’importanza di non basarsi sulle previsioni, ma piuttosto sulle postvisioni. È quello il modo più semplice ed efficace per riuscire a comprare a prezzi bassi e vendere a prezzi alti: comprare solo quando si vede chiaramente che il prezzo salirà e astenersi dal vendere finché non è assolutamente certo che il prezzo scenderà (ricordando che quando scende va più veloce di quando sale).

Dopo queste perle di saggezza strategiche, i fondatori della Boscoli & Associates sono passati ai consigli squisitamente operativi, lasciando la parola al loro economista senior e strategist dei mercati internazionali Toshiro Sonamazza.

In un religioso silenzio dell’uditorio, lo strategist nipponico ha fatto un interessantissimo intervento delineando per filo e per segno gli scenari futuri dei mercati, con tanto di date esatte dei trend di discesa e risalita, consigli operativi, lista dei titoli e prezzi d’acquisto. Peccato fosse tutto in giapponese (con l’accento di Okinawa) e l’interprete stesse russando sul divano dopo due bottiglie di vin santo “Riserva Bocciolini-Holy”. Così, purtroppo non si è capito una mazza.


Con somma delusione di Zio Nino da Trapani detto Trapanino che aveva pronte carta e penna per la lista dei titoli vincenti da comprare nel 2024.


Per fortuna l’intervento successivo ha risolto l’impasse. Per la main sponsor della serata, la Banca Traballa De Luxe Private, ha parlato il Gran Manager Lup Mannar High Networth, Cosimo Jerry Duccio Maria Manygold, mental coach di Programmazione Neuro Linguistica (Pnl, con diploma di 3° dan). Con sguardo magnetico e sorriso scintillante ha ipnotizzato la folla con frasi e parole chiave evocative, tipo: “Le Banche Centrali interverranno a sostegno dei mercati… Nel lungo termine le Borse salgono sempre… Questo è il momento di investire…”.

Faccio una sintesi senza tecniche di Pnl: qualunque cosa accada – guerre, pestilenze, maremoti… - ci penseranno le Banche Centrali. State tranquilli: appena possono abbassano i tassi di interesse, stampano qualche trilione e il film ricomincia, cioè tutto si sistema. Firmate qui!


L’uditorio ascoltava in religioso silenzio. Si percepiva solo un leggero russare di Bottavio e Padre Graziano che avevano ecceduto un po’ con la grappa “De L’Etilic - Riserva” per disgregare e mandar giù la mappazza dei tortellini bio.


Accanto a Duccio Maria stava la Bella Figheira, la consulente Top Private, che da quando ha frequentato il corso per diventare coach motivazionale rifulge di luce propria. Sarà anche per l’assidua frequentazione della palestra biodinamica, con il noto personal trainer ivoriano Akuka Mandingo.

Nei giorni scorsi è stata impegnatissima e frizzante a incontrare i clienti dicendo: “Te l’avevo detto che i mercati sarebbero risaliti” (quando invece nella crisi del 2022 si dava malata e non rispondeva al telefono), e distribuendo report patinati e colorati con performance scintillanti di quella che è stata un’ottima annata. Allargando l’orizzonte temporale, si vedrebbe che i suoi portafogli negli anni hanno oscillato peggio di un elettrocardiogramma impazzito, per poi chiudere con un rendimento inferiore a quello dei Bot.

Ma, come dice lei con voce ferma e ispirata: “Il passato è un’illusione: bisogna vivere il presente, il qui e ora. Namasté”.


Particolarmente interessante ho trovato l’intervento successivo, quello del Dottor Zen, uno studioso vestito con una specie di saio nero come Keanu Reeves in Matrix, che ha parlato della Via Negativa. È un tema che mi è particolarmente caro: si tratta di concentrarsi (nella vita come negli investimenti) su cosa non fare piuttosto che su cosa fare.

Rimuovere le cose inutili, eliminare ciò che non funziona e che disturba o intralcia, cercare di non ripetere sempre gli stesi errori… Invece troppo spesso ci perdiamo nel flusso contrario: aggiungiamo in continuazione, ci facciamo riempire la testa, la vita e il tempo prezioso da cose mediamente inutili e spesso anche dannose. Permettiamo a questo vortice di trascinarci, con il rischio concreto di rimanere travolti e di affondare. È un tema che ho trattato anche nel mio libro Bassa Finanza , così, se permettete, mi cito un po’:


La cosa più importante, quando si investe, è cercare prima di tutto di capire cosa non fare.

Concentrarsi su cosa evitare è il presupposto base di qualsiasi decisione.

Come dice un proverbio:

Il vero segreto del successo nel mondo degli investimenti non è una buona dritta su cosa comprare, ma sapere quali investimenti vanno evitati.

Eliminare ciò che non si conosce bene, che si pensa sia sbagliato.

È un processo “negativo”, per sottrazione.

Invece tutti si affrettano ad essere “positivi”, cioè ad aggiungere. Fare il più possibile, fare una montagna di ricerche, di discorsi e ricercare più dati possibile per mostrarsi pieni di conoscenze e iperattivi.

Ma ciò che accomuna i grandi investitori è un comportamento che va esattamente nella direzione opposta.

Scrive Nassim Taleb:

 

“L’insegnamento più importante nella vita è quando capisci cosa evitare”.

 

Lo definisce la Via Negativa, termine latino della tradizione cristiana, in base alla quale, dato che è impossibile conoscere, comprendere e quindi definire e descrivere Dio, lo si può fare solo dicendo cosa non è.

Il che ha un sorprendente parallelo con il buddismo.

Uno dei suoi testi più importanti, il Sutra del Loto, ha una parte introduttiva che si chiama Sutra degli Infiniti Significati. In essa viene descritta l’essenza della vita, quell’energia invisibile che crea la realtà e collega tutte le cose. Il problema però è che … non può essere descritta. Perché non può essere afferrata e compresa dalla mente. Così il Sutra utilizza delle negazioni, 34 negazioni per spiegare cosa non è.

 

La Via Negativa è un modo di procedere basato su una profonda saggezza millenaria.

Eppure noi dobbiamo fare, affannarci, proporre …

L’approccio “negativo” viene sottovalutato, quando non addirittura disprezzato: non è sexy.

Un consulente che ti dice cosa non fare, su cosa non investire … non vale niente. In fondo, che consulenza è?

 

Ma i più grandi investitori del pianeta ci dicono il contrario.

Quel che conta è eliminare, sottrarre, evitare. Sapere di non sapere.

È impossibile guadagnare se prima non ci si focalizza sul “non perdere”.

 

Warren Buffet e Charlie Munger ci dicono che la cosa più importante è cercare di non comportarsi da stupidi, piuttosto che provare a essere smart.

Ray Dalio, fondatore di Bridgewater, che è diventato uno dei più grandi Fondi al mondo, dice che il suo maggior vantaggio è quello di sapere che ci sono un sacco di cose che non sa. Come, già molti secoli fa, aveva detto Socrate: “La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere”.

George Soros spiega che il segreto del suo successo sta nel sottrarre continuamente ciò che non funziona, eliminare gli errori: “Gli altri persistono, io li elimino”.

 

Scrive sempre Nassim Taleb:

 

“Il più grande e solido contributo alla conoscenza consiste nell’eliminare ciò che si pensa sia sbagliato”.

 

Un concetto che non vale solo negli investimenti, ma in tutti gli aspetti della vita. Eliminare, staccarsi, per esser più liberi.

 

E ancora, come diceva Steve Jobs, il fondatore di Apple, uno che di business di successo se ne intendeva:

 

“Per trovare la semplicità bisogna prima rimuovere la complessità. Ed è un lavoro duro”.

 

E anche nella scienza, i grandi progressi avvengono quando ci si concentra su cosa non funziona piuttosto che cercare cosa funziona.

 

Ma anche l’arte, in molti casi, nasce per sottrazione, in un percorso di ricerca dell’essenziale.

Si narra che quando Papa Giulio II vide per la prima volta il David di Michelangelo rimase ammirato e chiese al famoso artista come fosse riuscito a realizzare una scultura di tale bellezza e perfezione. E Michelangelo rispose: “È semplice. Ho solo rimosso tutto ciò che non era David”.

 

Rimuovere, sottrarre, evitare: NON FARE.

I consigli più importanti vanno tutti in questa direzione. 

 

Quando però spiego alla signora Pina su cosa non investire, lei mi guarda sempre come se la prendessi in giro. Un consiglio inutile.

“Ma, ma … in pratica mi ha detto di non fare nulla!”, esclama delusa.

E con Selvaggia, la figlia smart acidula, si precipita alla Banca Traballa, dove hanno sempre la lista del giorno di soluzioni pronte e investimenti che funzionano.



 Naturalmente, alla fine dell’intervento del Dottor Zen, in platea dormivano quasi tutti (salvo Bottavio, che si era ridestato e cercava dei cantuccini di Prato per finire il vin santo).


Il Gran Manager Mannar Cosimo Jerry Duccio Maria Manygold era furibondo. Con gli occhi fiammanti tipo laser aveva cercato per tutto il tempo di incenerire il Dottor Zen, che però aveva sempre scansato i raggi, proprio come nelle battaglie virtuali in Matrix.


Ma in fondo bisogna capirlo Duccio Maria: il Dottor Zen era stato una voce completamente fuori dal coro.


Ho la sensazione che oggi il mondo sia in preda a un furore mistico dove bisogna costantemente fare qualcosa, correre di qua e di là, dimostrare qualcosa, far vedere che si è all’altezza... Mi sembra che ci siamo infilati in un gigantesco “Facite ammuina”, che in napoletano significa “Fate confusione”…

L’espressione deriva da un aneddoto secondo cui nell’800 ci sarebbe stato un articolo del regolamento della Regia Marina del Regno delle Due Sicilie che stabiliva le regole di comportamento dei marinai quando un alto ufficiale fosse salito a bordo della nave per un’ispezione. L’articolo, rigorosamente in napoletano, recita:


«All'ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa

e chilli che stann' a poppa vann' a prora:

chilli che stann' a dritta vann' a sinistra

e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta:

tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa

e chilli che stanno ncoppa vann' bascio

passann' tutti p'o stesso pertuso:

chi nun tene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a 'll à".»


Traduzione:


«All'ordine Facite Ammuina, tutti coloro che stanno a prua vadano a poppa

e quelli a poppa vadano a prua;

quelli a dritta vadano a sinistra

e quelli a sinistra vadano a dritta;

tutti quelli sottocoperta salgano sul ponte,

e quelli sul ponte scendano sottocoperta,

passando tutti per lo stesso boccaporto;

chi non ha niente da fare, si dia da fare qua e là.»


Anche se pare che l’articolo del regolamento sia un falso (per quanto pienamente verosimile…), mi sembra una fedele rappresentazione di quello che accade oggi, dove siamo impegnatissimi a correre di qua e di là come se non ci fosse un domani, dibattere di cose mediamente inutili, nuotare in un mare di news, post, video e storie inutili… Che poi il tempo passa, uno si ritrova suocero e dice: “Oh, matuguarda, mezza vita se n’è andata”.


Deve avere a che fare con l’insicurezza, la fragilità. Tutto questo desiderio di mostrare e mostrarsi, di far vedere, di arrivare a tutti i costi… suona terribilmente come un meccanismo di difesa, una mascheratura per giocare in un mondo di finzione.

Ma è una colossale fregatura, perché porta inevitabilmente delusione, insoddisfazione, amarezza. E di conseguenza porta alla fregatura delle fregature: il lamento. Come nei postumi dopo una notte di eccessi, gli effetti collaterali di questo “facite ammuina” quotidiano sono quelli, passata la sbornia, di ritrovarsi in un vuoto pieno di paure e non essere mai contenti.

Lamentarsi significa costruirsi una realtà personale e distorta, viverci dentro ma scontrarsi poi con la realtà vera, e per questo dare la colpa agli altri.

Certo, la vita è complicata e piena di problemi e non si può sempre avere un sorriso beato. Ma il vero problema è come tu reagisci ai problemi.

Chi si lamenta costantemente, per abitudine ormai consolidata, di fatto si incatena, si affossa nel ruolo di vittima. Poi inizia ad arrabbiarsi e parlare male degli altri (perché è sempre colpa di qualcuno). In questo modo sintonizza le sue energie sul veleno, sulle vibrazioni negative. E la vita risponde in accordo.

Il lamento è tossico e, proprio come una droga, diventa una dipendenza.

Ma il lamento è anche contagioso: avvelena anche chi sta intorno, in un modo spesso invisibile. Proprio come il fumo passivo.

Chi si lamenta avvelena anche te: digli di smettere.

Anche perché, chi si lamenta, generalmente non vuole davvero cambiare la sua situazione.

È un classico.

Mi perdonerete spero se mi cito ancora (dal libro Bassa Finanza ):


“Non si capisce bene perché, ma a quanto pare molto spesso fra il cliente e il suo bancario o consulente preferito si instaura una variante della Sindrome di Stoccolma, quello strano psico fenomeno per cui a volte le vittime di un sequestro sviluppano un rapporto di complicità con il loro rapitore.

In pratica, molti clienti diventano ostaggi devoti che aiutano i loro sequestratori a continuare a sequestrarli sempre meglio (in modo da realizzare budget e bonus al posto del riscatto).

La mente umana è davvero stupefacente.

Ci si imbatte in strane relazioni, per cui anche se sai che la tua consulente ti sta prendendo per i fondelli, dato che è la migliore amica di tua moglie non osi fiatare.

Oppure sai che è un incompetente patentato, ma trattandosi del figlio di tua sorella non ti puoi azzardare a sciupare il rapporto.

O è il caro amico di infanzia che ha sempre frequentato casa tua, un così bravo ragazzo a cui i tuoi genitori vogliono tanto bene.

O il funzionario di banca che una volta, 12 anni fa, ti ha aiutato ad avere uno sconto di 2 centesimi sul tasso del mutuo e ora non hai il cuore di deluderlo (anche se da 12 anni ti appioppa i prodotti più costosi).

Questa curiosa variante della Sindrome di Stoccolma si accompagna spesso alla Sindrome del Cliente Penitente. Come dice Armando quando gli faccio il conto delle commissioni nascoste:

“La direttrice è stata sempre così gentile con me, mi dispiacerebbe darle un dispiacere…”.

Ci sentiamo in colpa. E poi fin da piccoli ci hanno insegnato ad essere bravi bambini. Come diceva il titolo di un libro:

“Le brave ragazze vanno in paradiso. Le altre vanno dappertutto”.

Il problema è che se metti bocca in queste relazioni, passi per un cinico senza cuore. E può essere pericoloso.”


Mi succede sempre con la signora Pina, che mi mostra il suo portafoglio alla Banca Traballa, gestito da Ilario il Funzionario, il consulente sorridente.

Un portafoglio devastato dalle commissioni (visibili e nascoste) e pieno di crateri, disastri e prodotti improponibili, che negli ultimi 20 anni ha avuto un rendimento dello 0,8% medio annuo, falcidiando di fatto i suoi risparmi, visto che l’inflazione media al 4% nel periodo ha più che dimezzato il suo potere d’acquisto… La signora Pina viene da me e si lamenta della situazione: “Qui c’è qualcosa che non va!” mi dice con aria sospettosa.


Come dice il proverbio:


“Se vi sentite a disagio col vostro consulente finanziario, probabilmente c’è una buona ragione”.

 

A intervalli regolari (quando le arriva il resoconto degli investimenti) lei mi chiama lamentandosi e chiedendo aiuto. Mi fa perdere un sacco di tempo ad analizzare il portafoglio, spiegare le cose che non le sono mai state spiegate, e poi… poi non fa mai niente. Ilario il Funzionario è un così bravo ragazzo simpatico… E poi è amico di sua figlia Selvaggia. Non lo possiamo mica turbare? “Che figura ci farei?”, mi dice la signora Pina…


Alla fine, penso che molta gente ami lamentarsi. Dev’essere così. Ha bisogno di lamentarsi, come una dipendenza, per cui è alla continua ricerca di validi motivi per farlo. Cercare di levargli i motivi è un po’ come levare il giocattolo a un bambino, l’osso al cane, il bicchiere di vino a uno sbevazzone…

Non te lo faranno mai fare, e in compenso si arrabbieranno con te.

Così da un po’ di tempo, quando vedo la chiamata della signora Pina, semplicemente non rispondo più.


Ma torniamo alla Via Negativa.


Bisognerebbe riuscire a fermarsi. Stoppare la giostra che gira. Solo rallentando si riesce a essere lucidi, per avere una visione chiara, dare spazio alla riflessione, alla creatività, all’intuizione. E riuscire a levare invece di aggiungere. Semplificare invece che complicare. Senza cadere nell’idea errata che semplicità sia sinonimo di superficialità.

Semplificare è un processo difficile: bisogna prima passare dalla complessità, elaborarla, farla propria e poi rimuoverla, distillando solo l’essenziale. Molto più facile è correre nel polverone della giostra che gira. Facite ammuina.

Naturalmente tutto ciò vale anche nel mondo degli investimenti che, come sappiamo, non è separato dalla nostra vita di ogni giorno.

Il mitico Warren Buffett è certamente uno dei praticanti della Via Negativa. Lui dice:


“Se non sei disposto a mantenere un’azione per 10 anni, non stare neanche 10 minuti a pensare se comprarla o no”.


E poi:


“Compra solo azioni che saresti perfettamente tranquillo di mantenere anche se i mercati rimanessero chiusi per 10 anni”.


Immagino cosa direbbe Zio Nino da Trapani detto Trapanino, che controlla le quotazioni ogni 16 minuti. E ora che ha scaricato la app sul telefonino, cammina per strada controllando i grafici, sbattendo contro i lampioni, e precipitando nei tombini (l’altro giorno ha disintegrato una vetrina di un negozio mentre faceva trading Cfd camminando in un centro commerciale).


Oggi non va di moda chi rallenta per riflettere e fare scelte sagge, ma chi invece pratica “Facite Ammuina”, come la superstar dei media finanziari Cathie Wood, fondatrice di Ark Invest, società di gestione degli investimenti che con i suoi Etf compra solo titoli tecnologici fighissimi pronti a schizzare nella stratosfera.

Il fatto è che in passato la brava Cathie ha azzeccato qualche colpo (anche perché saliva tutto comunque) e quindi, come dice il proverbio:


“Fate tre ipotesi esatte l’una dopo l’altra, e vi sarete creati la reputazione di esperti”


Dev’essere per questo che un giorno sì e l’altro pure lei viene intervistata come fosse l’oracolo di Delfi, per sapere quali titoli comprare. E starle dietro non è semplice perché lei è sempre iperattiva e ogni giorno compra e vende un sacco di roba.


Peccato che il risultato di tutto questo guru-attivismo sia peggiore di quello che si sarebbe ottenuto semplicemente comprando un etf sul Nasdaq (l’indice dei titoli tecnologici) per poi dimenticarlo per anni. 




Come si vede, da quando la guru Cathie ha iniziato a investire freneticamente a fine 2014, il suo Ark Innovation (in blu nel grafico) è certamente molto brioso, tipo cuore in fibrillazione con aritmia, solo che alla fine il risultato è inferiore di 75 punti percentuali rispetto al Nasdaq: +137% contro il +211% dell’indice, ottenuto quest’ultimo senza il “facite ammuina”.

Ripeto: 75% di differenza. Inoltre, il risultato di tutto quel gran trading è che l’etf si ritrova oggi allo stesso livello di luglio 2018…


Dopodiché possiamo parlare di volatilità, che in genere è la scusa dietro cui si trincera la Bella Figheira quando il portafoglio di Padre Graziano (che gestisce i lasciti delle vecchine devote per l’Opera Pia Immacolata Addolorata) ha l’aspetto di un campo di papaveri tutto rosso e con un andamento grafico tipo canyon e voragini.


“Stia tranquillo Padre, la volatilità è un’opportunità da cogliere – spiega lei con il volto benevolo (ritoccato) da mental coach – e i nostri gestori sono pronti a sfruttarla. Non si preoccupi: firmi qui, qui e qui!”, conclude con il sorriso sulle labbra tubolari.


Sarà, ma intanto possiamo vedere che dal picco delle quotazioni raggiunto nel 2021, l’etf è ancora in rosso del 68% (dopo aver toccato anche -80%). Se nello stesso giorno Padre Graziano avesse comprato un banale etf sull’indice S&P 500, uno sul Nasdaq e quello gestito dalla guru, oggi si troverebbe rispettivamente con +23%, +8% e -68%. Davvero una buona gestione del  rischio:





Trovo misterioso che i media e i risparmiatori continuino a pendere dalle labbra (rifatte e non) di guru del genere (e ce ne sono parecchi), che hanno prosperato negli scorsi anni più che altro grazie alla mega bolla finanziaria con la politica dei tassi a zero…

Ma forse uno degli effetti del facite ammuina globale in cui siamo immersi è proprio quello di modificare la struttura del cervello, lasciandoci con la memoria di un pesce rosso e l’incapacità di concentrarsi e fare riflessioni approfondite.


E ora che si fa?


Dopo tutte queste chiacchiere, che purtroppo non aiutano a lenire il lutto della signora Pina dato che i Btp non rendono più il 3%... dicevo, dopo tutti i discorsi che si fa?


Intanto forse vale la pena di fare un riepilogo, che in tutte queste girandole, polveroni e ammuina, uno rischia di dimenticare dove siamo.


Già, dove siamo?


Non dobbiamo dimenticare (anche a costo di essere ripetitivi) che siamo ancora dentro la più grande bolla finanziaria della storia. Negli ultimi decenni è stato trovato questo semplice modo per risolvere ogni tipo di problema: stampare soldi dal nulla (con qualche clic sulla tastiera dei banchieri centrali) e tenere i tassi di interesse i più bassi possibile, in modo da rendere facile e sostenibile vivere a debito (tenendo così a galla stati, banche e aziende).

Per avere un’idea della stampa di soldi, basta ricordare che gli Usa ci hanno messo 200 anni a creare il primo trilione (mille miliardi) di indebitamento. Solo che poi ci hanno preso gusto e sono arrivati a 32 trilioni, di cui 25 solo negli ultimi 15 anni, dalla grande crisi finanziaria del 2008:






Tutto questo ovviamente non potrà non avere conseguenze. Solo che non sappiamo bene quali (e quando). Uno dei motivi per cui questa marea di carta non ha fatto esplodere i prezzi (almeno non più di tanto) è che negli ultimi decenni la globalizzazione ha portato ad abbassare i prezzi.

Basta pensare a tutte quelle merci che usiamo ogni giorno e vengono prodotte in paesi lontanissimi a costi irrisori, perché molta gente guadagna un tozzo di pane (o una ciotola di riso). Solo che questo meccanismo magico si è un po’ inceppato durante la pandemia, quando ci si è accorti che se un pezzo di ricambio per la tua auto deve arrivare dalla Cina, può darsi che tu stia senza auto per qualche mese. Inoltre, con le sempre maggiori restrizioni ai commerci (ad esempio nella “guerra commerciale” fra Cina e Usa), il meccanismo della globalizzazione non funziona più come prima.

Per non parlare delle tensioni internazionali. Ad esempio, gli attuali problemi nella zona del Mar Rosso, da dove passa il 15% del commercio mondiale (Canale di Suez), stanno facendo aumentare il costo dei trasporti. Il che farà aumentare i prezzi dei prodotti. E che dire delle minacce della Cina verso Taiwan, dove si produce la maggior parte dell’elettronica che importiamo?

Con buona pace di chi dice che l’inflazione è un tema passeggero e i tassi torneranno presto a scendere.


In quest’ottima annata appena trascorsa abbiamo visto che è bastato rialzare i tassi di interesse per creare un inizio di terremoto. Nei mesi scorsi alcune banche si sono letteralmente disintegrate. Oltre al colosso Credit Suisse, sono saltate tre banche in Usa.

La cosa che forse è sfuggita, nella canonica inondazione di news, è l’entità di questi fallimenti. Le tre banche Usa fallite nel 2023 hanno dimensioni che complessivamente superano quelle di tutte le 25 banche fallite nella crisi del 2008 (inclusa Lehman Brothers):




Sappiamo che questa volta uno dei principali motivi dei fallimenti è stato quello delle perdite sui portafogli obbligazionari delle banche (causate dai rialzi dei tassi), che da perdite virtuali (unrealized loss) si sono trasformate in perdite reali quando le banche sono state costrette a vendere i titoli per far fronte alle richieste di liquidità dei correntisti.


Ricordiamo infatti che le obbligazioni hanno avuto perdite consistenti negli ultimi anni. Sarebbe più appropriato dire catastrofiche, considerando anche il fatto che il mercato obbligazionario è molto più grande di quello azionario. Si stima che il mercato obbligazionario mondiale abbia dimensioni quasi triple di quello azionario: 300 trilioni (300mila miliardi) contro circa 120.

L’unico motivo per cui non si è scatenato il panico è che la gente ha una certa difficoltà a comprendere l’andamento delle obbligazioni. Se le borse negli ultimi tre anni avessero perso il 50% (come successo ai bond lunghi) i media non parlerebbero d’altro e gli investitori sarebbero terrorizzati in attesa della fine del mondo.

Qui l’indice dei titoli di stato Usa a lungo termine (oltre 20 anni), TLT in blu, e l’indice dei bond corporate (Lqd):





Dato che i soldi sul conto corrente di fatto non esistono (se non in minima parte), quanto tu fai un bonifico in uscita, o anche compri un titolo (come fa la signora Pina con i Btp), la banca deve far “materializzare” quei soldi.

Quindi, se le richieste sono troppe e tutte assieme e la banca non ha riserve sufficienti, per fare cassa è costretta a vendere titoli obbligazionari del suo portafoglio. E dato che, nel caso delle banche di cui sopra, le quotazioni dei titoli erano sotto anche del 50%, ecco che al grido di “Chilavrebbemaidetto” il mondo si è accorto in un attimo che le perdite virtuali (unrealized loss) sono diventate molto reali.


Un altro tema di debolezza per le banche è quello del commercial real estate. Avendo i portafogli pieni di mutui e prestiti commerciali, garantiti da immobili commerciali, se il valore di questi scende abbiamo ancora una volta delle unrealized loss, delle perdite virtuali, pronte a trasformarsi in perdite reali, quando ad esempio la banca è costretta a vendere l’immobile perché il mutuo non viene più pagato… Anche in questo caso non è che le cose vadano molto bene, con i prezzi degli immobili commerciali in picchiata:




Da un quarto di secolo la Federal Reserve, la banca centrale Usa, pubblicava diligentemente e periodicamente i dati delle perdite virtuali delle principali banche Usa per monitorare la situazione. Solo che a marzo del 2023, dopo i fallimenti di tre banche, e quando le perdite “nascoste” nel sistema stavano raggiungendo i livelli del 2008, la Fed ha… smesso di pubblicare i dati. Puff! Matuguarda:




Bisogna dire che da quando è miracolosamente apparso il tema dell’Intelligenza Artificiale (proprio nel periodo dei fallimenti bancari dei mesi scorsi), nessuno parla più della salute e stabilità del sistema finanziario, o delle perdite obbligazionarie: non gli frega più niente a nessuno.

Asimovo e la Chat Gpt ci salveranno e risolveranno tutti i problemi. E per ora pare abbiano salvato i mercati, con il decollo dei titoli tecnologici che ha trascinato al rialzo tutti i mercati con performances roboanti. Saranno forse un tantino eccessive?


Un possibile metro di valutazione è quello di comparare l’andamento dell’indice Nasdaq 100 (che contiene i 100 più importanti titoli tecnologici) con quello dell’indice Russell 2000 (con le piccole aziende, non necessariamente tech), ottenendo così un rapporto, un ratio.


La cosa interessante è che nel 2000, al top della mania tech e della bolla tecnologica e subito prima della sua implosione, questo rapporto era di poco superiore a 8. Cioè, il Nasdaq 100 valeva 8 volte più del Russell 2000, il che suona come un livello bolla. Ma oggi siamo arrivati a superare quel livello, toccando 8,7:




Mmm… non pare un grafico molto tranquillizzante.


Sto dicendo che moriranno i titoli tech e torneremo ai pallottolieri e alla carta carbone? No di certo. Siamo in mezzo a una rivoluzione, su questo non ci sono dubbi. I dubbi però possono esserci su quali titoli sopravviveranno e con quale volatilità da sopportare. Oggi, ad esempio, è ovvio che Amazon sia un titolo vincente emerso dalla rivoluzione tecnologica di fine anni ’90 (quella di internet e dell’e-commerce).

Come dicono i F.lli Boscoli: “Si vedeva chiaramente che sarebbe salita”. Quindi, bastava comprare titoli di Amazon nel 1997 e mantenerli fino ad oggi per vedere il proprio capitale centuplicato. Figo.

Il piccolo problema è che nel suo percorso il titolo ha avuto oscillazioni mostruose, ad esempio nel 2001 ha perso il 90%. Dico: meno novantapercento.

In quanti allora avrebbero avuto la certezza che Amazon sarebbe sopravvissuta e quindi il fegato di mantenerla in portafoglio? E per quanti dei titoli che oggi sembrano destinati a crescita a razzo costante arriverà il momento di tracollare?


Se la bolla delle azioni tecnologiche di oggi è più grande di quella del 2000, prima o poi qualcosa di molto spiacevole succederà. E come sempre, prenderà molti alla sprovvista. Si dirà: chilavrebbemaidetto. E poi: “Come mai non ci ho pensato prima?” Semplice: quando siamo in mezzo a una bolla non si pensa mai di essere in mezzo a una bolla.


Un po’ come sta succedendo ai produttori di auto elettriche, che in virtù della convinzione mondiale che avrebbero risolto tutti i mali del pianeta avevano raggiunto valutazioni bolla, salvo poi avere qualche leggero calo rispetto ai massimi, forse perché qualcuno si è accorto che ci sono un po’ di problemi.

Ad esempio, il colosso dell’autonoleggio Hertz ha appena annunciato che non userà più veicoli elettrici e venderà tutte le 2000 Tesla e simili che compongono la sua flotta. Matuguarda.


Ecco qua l’andamento dei titoli azionari di alcuni produttori rispetto ai livelli massimi raggiunti:




Temo che Zio Nino da Trapani, detto Trapanino, abbia investito (naturalmente sui massimi) un po’ su tutti i titoli, che secondo lui così diversificava il rischio. Naturalmente, mentre i prezzi affondavano, lui ha più volte incrementato le posizioni, convinto che comprare sui ribassi sia sempre una buona strategia. Così ora il suo portafoglio è a -90%, in attesa di recuperare.

Purtroppo la matematica in questo caso non aiuta molto, perché un investimento a -90% deve fare +900% solo per tornare in pari.


E quindi? Quindi a questo punto ci vorrebbe un oroscopo.


Per quello naturalmente ci sono i guru, gli analisti, gli economisti, le news…L’importante, quando si ascoltano le previsioni, è ricordarsi che chi le fa, in genere tiene molto al suo stipendio. Il rischio reputazionale è troppo alto per dire davvero quello che si pensa e avere una visione autonoma (che fa rima con coraggiosa).

L’effetto gregge è più sicuro: se tutti dicono più o meno le stesse cose, nessuno potrà essere biasimato troppo quando le cose vanno al contrario di quanto previsto da tutti. Così, quando arriva il chilavrebbemaidetto moment nessuno pagherà. Mal comune mezzo gaudio.


Ma in fondo, fare una previsione è piuttosto semplice: l’unica cosa che conta oggi è se la Federal Reserve dice che fa una pausa nei rialzi dei tassi. Se dice che li alza ancora ci si preoccupa. Se li abbassa troppo ci si preoccupa (perché si comincia a temere la recessione). Se dice che non fa niente, i mercati sono felici. E per ora questa sembra essere l’ipotesi più accreditata… Rose e fiori.


E allora che si fa?

È interessante notare che il rialzo del mercato continua ad essere guidato dai Magnifici Sette (Amazon, Nvidia, Google, Apple, Microsoft, Netflix e Tesla), che da soli rappresentano (data la loro enorme capitalizzazione) il 30% dell’intero indice Standard & Poor 500 (in azzurro nel grafico sotto) e andando su a razzo trascinano tutto l’indice.

Ma se si prende una versione dell’indice dove ognuno dei 500 componenti ha lo stesso peso percentuale (cosiddetto equal weighted, in blu scuro nel grafico) ecco che le cose cambiano. Nell’ultimo anno solo una parte del mercato è salita a razzo, tutto il resto mica tanto:




Può quindi darsi che chi è finora rimasto indietro si decida a decollare. O, viceversa, può essere che i titoli nella stratosfera comincino a scendere un po’ sulla terra.

Quindi, che si fa? Ci precipitiamo a vendere tutto? Certo che no.

Come già visto altre volte, entrare e uscire arbitrariamente dal mercato non ha mai pagato. Anzi, statisticamente è un disastro. Infatti, le performances dei mercati sono fatte da molti giorni in cui non succede quasi nulla e pochi giorni di grande volatilità.

Se si perdono i giorni migliori perché si è disinvestito, il risultato finale cambia drammaticamente. Ecco 20 anni di mercato:





Diecimila dollari investiti in borsa nel 2003 sarebbero diventati a fine 2022 (dopo circa 5.000 giorni di borsa aperta) quasi 65.000 dollari.


Ma se da quei 5.000 giorni togliamo i migliori 10, la performance si dimezza. Se togliamo i 30 migliori giorni, il risultato è praticamente un pareggio (in 20 anni!, come il portafoglio della signora Pina). Non partecipando ai 50 giorni migliori (su 5.000, cioè rimanendo non investiti per l’1% del tempo) la performance non solo diventa negativa, ma il capitale iniziale si dimezza.


Visto che la serie statistica del grafico si ferma a fine 2022, qualcuno si potrebbe chiedere: ma tutto ciò vale anche nel 2023?

Yes, of course:




Chi ha perso i 10 migliori giorni di Borsa (su 250) del 2023, invece di un +19% si ritrova con un risultato del -1%. E via così…


Allora che si fa?


Come diceva Keynes: preferisco essere vagamente nel giusto che totalmente errato.


Quindi cerchiamo di prepararci a ogni scenario. Pensando prima di tutto agli stop loss, i trailing stop, la diversificazione e la size delle posizioni. Tutte cose che oggi sembrano inutili, dato che sale sempre, e anche se scende un po’, ti basta comprare sui ribassi che poi vinci sempre.


Inoltre, voglio continuare sempre più a cercare titoli di qualità. Quelli che hanno una posizione dominante nel loro campo, che li puoi tenere a lungo in portafoglio (e forse per sempre). Quelli che non ti preoccupi anche se non guardi le quotazioni per mesi.


Lo so, è una strategia che può risultare noiosa. E poi bisogna aspettare, ci vuole pazienza, ci vuole tempo. Tutte cose che oggi suonano strane.

E poi qualcuno non più giovanissimo potrebbe pensare che sia tardi per imbarcarsi in una strategia di lungo termine. Sbagliato.

Alla fine degli anni ’80 Warren Buffett approfittò di un momento di crisi della Coca Cola, con le quotazioni in forte ribasso, per comprare un enorme pacchetto di 400 milioni di azioni. Il prezzo medio era di circa 3 dollari l’una.

All’epoca lui non era un ragazzino: aveva 58 anni. Da allora le azioni della Coca Cola sono semplicemente rimaste lì nel suo portafoglio (cioè quello della Berkshire Hathaway). E sono semplicemente passate dai 3 dollari di allora ai 60 di oggi, ventuplicando l’investimento (si potrà dire?). Il che corrisponde a un incremento del 9,5% annuo. Senza fare niente. E senza preoccuparsi. Perché la Coca Cola non fallirebbe neanche se ci fosse un’invasione di marziani (che certamente si metterebbero a berla).

Ma, se ciò non bastasse, la magia di tutto ciò è un’altra: i dividendi. Aziende solide e profittevoli come quella aumentano i dividendi anno dopo anno, via via che i profitti crescono. Così, mentre il dividendo si attesta in media sul 3% annuo (in percentuale rispetto al prezzo dell’azione), il miracolo avviene quando gli anni passano.

Oggi con il titolo a 60 dollari, il dividendo pagato ammonta a 1,8 dollari, cioè circa il 3%. Solo che… Solo che il buon Warren ha comprato i titoli quando valevano 3 dollari l’uno. E su quei titoli, per i quali ha speso 3, lui oggi percepisce un dividendo di 1,8 dollari, Che corrisponde a un rendimento annuo del 60%.

Non so se è chiaro: oltre ad aver ventuplicato il valore dell’investimento grazie all’aumento del prezzo del titolo, percepisce anche un rendimento annuo del 60% semplicemente “dimenticando” nel portafoglio uno dei titoli più sicuri e noiosi del pianeta. Non male come strategia, no?


Invece di seguire il facite ammuina, penso che il modo migliore di proteggere i propri risparmi nel lungo termine sia quello di avere in portafoglio titoli azionari di aziende super solide, efficienti e profittevoli. Che fra l’altro riescono (come l’oro) a contrastare nel tempo le perdite massacranti causate dall’inflazione.


Se il vostro bisnonno avesse comprato una singola azione della Coca Cola al momento della sua quotazione avvenuta nel 1919, investendo 40 dollari dell’epoca - e non l’avesse mai venduta seguendo mode e guru - oggi avreste ereditato 327.000 azioni (frutto degli split azionari e del reinvestimento dei dividendi), per un controvalore di 20 milioni di dollari. Moltiplicando così per 50mila volte l’investimento iniziale.

Giusto per informazione, nello stesso periodo il dollaro (come tutte le valute) ha perso, grazie all’inflazione, il 95% del suo potere d’acquisto.

Riepilogando. Se il bisnonno avesse tenuto i soldi sul conto corrente avrebbe perso il 95%.

Seguendo mode e guru e news (con i relativi entra ed esci dal mercato) sarebbe probabilmente in perdita. Dimenticandosi le azioni della Coca Cola il capitale iniziale è aumentato di 50.000 volte.


A questo punto compro qualche titolo.


McDonalds direi che non ha bisogno di presentazioni. Si può essere contrari al concetto del fast food, ma è certo che parliamo di un’azienda super solida e molto profittevole. L’avevamo già nei Portafogli Colorati: comprata nel 2015 e uscita nel marzo 2020 (con un simpatico +76%) allo scattare del trailing stop nel crollo dovuto al panico da pandemia.

Durante quei cali, nel marzo 2020, sono usciti dai Portafogli a causa dei trailing stop anche titoli come Alphabet, Coca Cola, American Express… Ed è proprio da lì che ho rivisto la politica di gestione del rischio: per alcuni titoli di aziende leader, dominatrici del loro mercato, non metto più stop loss né trailing stop. Non voglio più rischiare di essere “buttato fuori” dal mercato per un’oscillazione momentanea.

Subito dopo, a maggio 2020, quando ancora sembrava che il mondo dovesse fermarsi, ho ricomprato quei titoli (meno male, visti i risultati), ma per qualche motivo ho lasciato da parte McDonalds. Ahimé, se fosse rimasta in Portafoglio dai tempi del primo acquisto (maggio 2015) oggi avrebbe una performance del +240%...

Allora mi chiedo: vale la pena di turbarsi per le oscillazioni dele azioni di un’azienda che, anche se ci fosse un’invasione di marziani, continuerebbe a fare soldi perché venderebbe il Big Mac anche a loro?


Altro titolo uscito dai Portafogli nel marzo 2020 è ABB, colosso svizzero-svedese della robotica industriale e automazione. Continua a essere molto interessante e vorrei quindi riprovarci.


Il termine “moat” in inglese significa letteralmente “fossato”. Nel campo degli investimenti si usa dire che certe aziende hanno un moat, cioè un vantaggio competitivo: hanno una barriera (il fossato), cioè una posizione dominate nel loro campo che rende difficile ai competitors aggredirle.

Questo tipo di aziende potrà a volte essere noioso e non particolarmente di moda, ma certamente nel lungo termine producono dei risultati notevoli e i loro titoli tendono a oscillare meno nei momenti difficili.

L’azienda di analisi finanziarie Morningstar ha creato un apposito indice che racchiude questo tipo di aziende a livello mondiale: il Global Wide Moat. Ci sono aziende di tutti i settori: industria, farma, biotecnologia, lusso, high tech… selezionate in base a vari criteri che ne identifichino la dominanza, la solidità, il vantaggio competitivo e la ragionevolezza del prezzo. Non ultimi, vengono presi in esame anche criteri di sostenibilità, responsabilità sociale e governance, quali ad esempio l’analisi della percentuale di donne ai posti di comando in tali aziende (attualmente al 27%). Una cosa che mi pare utile e interessante.

La casa di investimenti Vaneck, ha creato un etf che replica tale indice (etf a replica fisica, cioè che compra realmente i titoli dell’indice), collocato sul mercato poco più di due anni fa. Vale la pena dare un’occhiata al suo andamento (in blu scuro nel grafico) rispetto a quello dell’indice mondiale Msci world (rappresentativo di tutte le Borse, in azzurro nel grafico):





È piuttosto evidente dal grafico sopra che quel particolare tipo di aziende (replicate nell’etf) è forse un po’ meno pimpante nei momenti di buona, ma ha una volatilità praticamente dimezzata quando le cose vanno male. Quindi, mi piace.


Parlando di tecnologia (e del tema del momento: l’intelligenza artificiale), trovo molto interessante Salesforce, l’azienda leader indiscussa nel campo del Customer relationship management (Crm). In pratica, Salesforce fornisce alle aziende tutte le soluzioni tecnologiche più avanzate per la gestione della clientela: software e app per monitoraggio, analisi dati, comunicazione…

Tutte cose - a quanto sembra - così utili ed efficienti che, una volta che un’azienda usufruisce dei servizi di Salesforce, difficilmente riesce a farne a meno.


Prima si parlava del fatto che i rialzi di Borsa degli ultimi tempi sono guidati prevalentemente dalle mega aziende. In effetti le cosiddette small cap, le aziende di “piccole” dimensioni sono rimaste parecchio indietro. Se il mercato rialzista avrà voglia di continuare potrebbe valere la pena di “scommettere” su un recupero delle small cap, come già successo altre volte in passato.


In ultimo, è arrivato il momento di un drink… Diageo è il colosso mondiale (80 miliardi di capitalizzazione) degli alcolici. Detiene marchi globali come Johnnie Walker, la vodka Smirnoff, il gin Gordon e Tanqueray, e poi rum, tequila, il Bailey’s (il liquorino a base di Irish whyskey e crema di latte particolarmente apprezzato da Azzurrina) e la birra Guinness.

È uno di quei titoli che potrebbe stare a lungo in Portafoglio. Azienda solida e profittevole, con il titolo che negli ultimi tempi ha subìto un calo, come tutta l’industria del settore. Invece di trovare la cosa preoccupante, proviamo ad approfittarne.


Riepilogando:


- Per il Portafoglio Giallo compro: ABB, sul mercato svizzero Virtx, cod. isin: CH0012221716


- Per il Portafoglio Azzurrino compro: Diageo sul London Stocks Exchange, cod. isin: GB0002374006

Gli inglesi sono sempre un po’ particolari (dalla guida a destra alla misurazione in iarde e pinte…) e si distinguono anche in Borsa, dove alcuni titoli vengono quotati in centesimi di sterlina (o meglio, pennies). Quindi, in questo caso, per le azioni Diageo si vede un prezzo di 2.800. Ma non sono 2.800 sterline: in realtà sono 2.800 centesimi, cioè 28 sterline.


- Per il Portafoglio Bianco compro: McDonalds, sul Nyse, cod. isin: US5801351017


- Per il Portafoglio Bolla Fucsia compro il fondo: T. Rowe Price - US Smaller Companies Equity A eur, cod. isin: LU0918140210


- Per il Portafoglio rosso Big Babol compro: Salesforce, sul Nyse, cod. isin: US79466L3024


- Per il Portafoglio Grigio compro l’etf: Vaneck Morningstar Global Wide Moat, su Borsa Italiana, cod. isin: IE00BL0BMZ89

 

I Portafogli Colorati sono stati aggiornati, e a breve arriveranno i risultati del 2023, con un’analisi dei titoli e degli stop loss.


Lo so, è passato un po’ di tempo dall’ultima newslettera. Ma, come sapete, Bassa Finanza è gratis. Lo è sempre stata e continua ad esserlo. Dalla prima, timida uscita nell’ottobre del 2009. Sul sito si può trovare tutto l’archivio delle newslettere, con tutta la storia dei Portafogli Colorati: gli acquisti, le vendite, i successi, le sconfitte. Tutto trasparente. Tutto gratis.

Quindi, ahimé, scrivo quando riesco a scrivere, cioè necessariamente dopo aver espletato le faccende che mi consentono di pagare bollette, tasse, etc…

Allora, a presto.




Giuseppe Cloza




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