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L’ANNO CHE È ARRIVATO





Campeche, Mexico - Photo ®USGS Unsplash




Le aspettative sono delusioni in preparazione.

Anne Lamott


Non sappiamo mai dove stiamo andando, ma dovremmo almeno sapere dove siamo.

Howard Marks




Tutti più o meno facciamo i bilanci di fine anno e i propositi per l’anno che è arrivato. Anch’io vorrei fare due o tre riflessioni.

In tema di bilanci mi chiedo: quanti motivi ognuno di noi avrebbe per essere insoddisfatto? Non parlo solo degli investimenti – dove i motivi non sono certamente mancati – ma mi riferisco alla vita in generale.

Non c’è dubbio che le ragioni per essere preoccupati o insoddisfatti non manchino mai. E però la realtà è che, se ci focalizziamo su questo, è un po’ come se uno dicesse: starò bene quando i motivi per stare male non ci saranno più. Basta fermarsi un attimo a riflettere per capire che il discorso non torna. È una fregatura. Come dire: uscirò di casa quando smetterà di piovere. Prima non posso. Davvero?

Così, magari senza accorgercene, finiamo per ingabbiarci da soli.


Ci costruiamo una prigione utilizzando come sbarre i motivi di insoddisfazione, quello che non va, le preoccupazioni, i rimpianti. E poi aspettiamo che se ne vadano da soli. E nel frattempo passiamo il tempo a lamentarci.

A pensarci bene, è uno strano modo di passare la vita, in attesa che qualcosa o qualcuno ti dia il via libera per trovare la soddisfazione.

Sono le aspettative, che, come dice la frase all’inizio, non sono altro che delusioni e risentimenti in via di formazione.

Perché? Perché cerchiamo sempre di cambiare la realtà esterna e in questo modo ne diventiamo dipendenti, e per questo ci troveremo spesso in un vicolo cieco.

Invece, dovremmo cercare dentro noi stessi e cambiare le aspettative.


Quando si parla di qualità della vita è difficile trovare una definizione valida per tutti. Alcuni anni fa il medico inglese Kenneth Calman elaborò un concetto che venne poi definito il “Calman gap”: la qualità della vita è data dalla distanza (il gap) fra la realtà e le aspettative. Realtà – aspettative = qualità della vita.

Non è così?

E quel che è peggio è che le aspettative frustrate ti rendono difficile apprezzare le cose. Diventa un circolo vizioso dove uno rischia di non essere mai soddisfatto.


All’inizio dell’anno ognuno ha dei propositi, che spesso però si trasformano in semplici aspettative perché in fondo non ci impegniamo concretamente, abbastanza a lungo e con sufficiente costanza (e in fondo speriamo che i risultati e i cambiamenti desiderati arrivino in qualche modo “miracoloso”). È quella che in psicologia chiamano la “Sindrome della falsa speranza”, quando cioè ci si aspetta di ottenere risultati troppo eclatanti o troppo in fretta e alla fine si rimane frustrati e si abbandona il proposito, pieni di delusione.


Secondo me un proposito valido un po’ per tutti potrebbe essere quello di cercare la pace. Voglio dire, la pace dentro.

Nel senso che la maggior parte di noi fa continuamente la guerra. Siamo in conflitto con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente esterno.

E a forza di schermaglie, la nostra anima è letteralmente ricoperta di ferite e cicatrici, con sofferenze che ci accompagnano da anni.

Spesso ci accompagnano fin da quando siamo piccoli.

Ci portiamo dietro esperienze dolorose, ricordi che appesantiscono la vita. La pace dentro invece ti alleggerisce, sciogliendo tutti questi grumi.

Le ferite spirituali, le ferite emozionali, che procuriamo a noi stessi e agli altri (e che subiamo) forse non si vedono in superficie, ma lavorano nel tempo e creano degli squilibri energetici che possono portare anche alla malattia. E poi c’è la paura, perché ogni guerra è sempre accompagnata dalla paura.


Ci sono tanti modi per cercare di affrontare questo tema (e nei miei libri cerco di dare indicazioni concrete), ma qui vorrei semplicemente parlare di una cosa a cui secondo me non si è mai abbastanza attenti. Mi riferisco al potere delle parole, delle azioni e dei pensieri.


Raramente pensiamo alle conseguenze delle nostre azioni o delle nostre parole. Conseguenze che spesso sono devastanti come bombardamenti al napalm che fanno terra bruciata intorno, o esplosioni nucleari i cui effetti radioattivi si irradiano silenziosi e micidiali per anni e anni…

Proprio non ci pensiamo. Non pensiamo che ogni nostra azione, ogni parola ha infinite ramificazioni: non si ferma lì, ma genera una catena di eventi, che attraversano il tempo e lo spazio e dispiegano effetti anni dopo e a chilometri di distanza propagandosi come onde che vanno a colpire persone ignare e luoghi lontanissimi da noi.

Se tu ferisci una persona (anche inconsapevolmente), la sofferenza che crei porterà probabilmente questa persona a ferire qualcun altro (magari per sfogare la rabbia, il rancore, la frustrazione…), che a sua volta scaricherà gli effetti su qualcun altro… In un circolo vizioso di incolpevoli che soffrono, che si autoalimenta e si propaga nel tempo e nello spazio come cerchi nell’acqua. E in mezzo ci sono sempre i bambini, che anche se non c’entrano niente, rimangono vittime di queste pallottole vaganti, con ferite che si porteranno dietro per anni e condizioneranno a loro volta le vite loro e di chi gli starà intorno.


Anche i pensieri sono un’energia potente che ha effetti molto concreti sulla nostra vita.

I pensieri possono essere come bombe di profondità (quelle che si usano per attaccare i sommergibili), che vanno giù, giù a fondo e solo allora esplodono e fanno danni, anche se in superficie non si vede niente.

Ma spesso, spessissimo, non ci stiamo attenti. Agiamo, parliamo e pensiamo come se tutto ciò non avesse un effetto. Invece ci feriamo a vicenda, lanciamo frecce avvelenate, incantesimi che imprigionano; ci facciamo male da soli, ci lasciamo contaminare dalle opinioni negative e piano piano perdiamo le energie, quell’energia vitale che mantiene tutto in equilibrio.

Per guarire da queste ferite, rimettere in equilibrio l’energia, bisogna prima di tutto cercare la pace dentro. Fare pace.


Tornando alle aspettative. Purtroppo, sono come le erbacce: crescono ovunque e sono difficili da sradicare, mentre soffocano i germogli della soddisfazione, dell’apprezzamento, della gratitudine. Le troviamo in tutti gli aspetti della vita.

Oggi, ad esempio le aspettative della Signora Pina sono cambiate. Prima, quando i tassi erano a zero, si aspettava di ottenere dagli investimenti il 4%, naturalmente senza rischi. Ora che è arrivata l’inflazione, si aspetta che un investimento tranquillo la ripaghi almeno dal costo dell’inflazione, cioè che renda come minimo l’8%. Altrimenti rimane delusa…


Il problema delle aspettative nel mondo degli investimenti è una cosa seria. È il motivo per cui, nonostante praticamente tutti si ostinino a crederci è praticamente impossibile investire basandosi sulle previsioni. Perché? Perché i mercati nel breve termine sono guidati dalle aspettative ed è praticamente impossibile sapere quali sono. Come diceva l’economista Keynes:


“Investire con successo significa anticipare le anticipazioni degli altri.”


Roba da diventare matti. Come quando una società dichiara risultati ottimi e subito dopo il suo titolo crolla in Borsa. Perché? Perché tutti si aspettavano di più e sono rimasti delusi. Valla a indovinare.


Sarebbe carino prendere le previsioni del 2022 per i mercati fatte dai vari guru & astrologi e poi confrontale con la realtà.

Chissà quanti chilavrebbemaidetto si sentirebbero…


Recentemente il New York Times si è dilettato nel controllare l’accuratezza delle previsioni dei mega guru di Wall Street (Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley, Deutsche Bank e così via…) dal 2000 al 2020. Il risultato è carino: hanno avuto in media uno scostamento di quasi il 13% l’anno rispetto alla performance effettiva dell’indice.

Ad esempio, in un anno la Borsa fa -10% mentre la previsione era +3%. O fa +26% mentre la previsione era +13%.

In pratica un margine di errore superiore al 100%. Sono sbagli colossali, ripetuti con ammirevole costanza.

Sarebbe come se le previsioni del tempo dicessero che per domani si prevedono gelo e neve e invece ci troviamo di fronte a un clima primaverile. Per il giorno dopo si prevede freddo e cielo sereno, e invece c’è afa e acquazzoni

Dopo un po’, chi mai darebbe retta a un servizio previsionale così sgangherato?

Ma nel mondo degli investimenti pare vada bene così. Forse perché tutti, ma proprio tutti vogliono, fortissimamente vogliono le previsioni.

Così, negli ultimi due anni, i guru di Wall Street sono riusciti a fare ancora peggio. A inizio 2021 avevano previsto che l’indice S&P 500 avrebbe chiuso l’anno a 3.800 punti. Invece ha chiuso a 4.766, con un “piccolo” scostamento di 25 punti percentuali in più.

Non contenti, a inizio 2022 il consenso dei guru era per un indice S&P 500 che avrebbe raggiunto i 4.825 punti. Invece ha chiuso l’anno a 3.840 (con uno scostamento del 20%).

Sono previsioni orrende e impresentabili: per il 2021 avevano previsto calma piatta ed è stata una grande annata. Per il 2022 prevedevano clima mite e invece ci sono state tempeste e gelo.

Eppure, chissà mai perché, un sacco di gente continua ad essere convinta che si possa investire basandosi sulle previsioni.


Mettendo da parte gli oroscopi della finanza, ecco i dati reali dell’andamento di varie asset class nel 2022:





In questo riepilogo manca l’oro, che chissà perché non viene considerato un’asset class. E comunque a mio parere si è comportato assai bene, posizionandosi in vetta alla classifica del 2022 con un +2% in dollari e +8% in euro. Un risultato ancora più significativo se lo si confronta non solo con quelle azione e obbligazioni, ma anche con gli immobili, dove l’indice globale del real estate ha fatto -30,7% (alla faccia del bene rifugio).


Bisogna anche dire, riguardo ai bond che se si guardano i Btp decennali (i titoli di stato della signora Pina) la situazione risulta un po’ peggiore rispetto al Bund tedesco riportato nel grafico. Con il Btp decennale si supera tranquillamente il -20%.

E questi sono rendimenti nominali. Guardando ai rendimenti reali bisognerebbe infatti aggiungere la perdita del potere d’acquisto dei soldi dovuta all’inflazione. Considerando una media dell’inflazione intorno all’8%, ecco che i 100 euro investiti in Btp a inizio 2022 oggi varrebbero poco più di 70. Bottavio è ovviamente in lutto.


Comunque, anche se si prende il risultato medio dei bond Usa, dato da un indice (il Bloomberg US Aggregate Bond Index, che comprende sia titoli di stato che bond aziendali, cioè treasury e corporate), si vede a colpo d’occhio come si posiziona l’andamento dei portafogli obbligazionari del 2022 rispetto agli ultimi 45 anni:




Da questo grafico appare chiaro come sia stato relativamente facile negli ultimi decenni ottenere dei buoni risultati con le obbligazioni..

Il fatto è che a cavallo fra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 ci furono due cambiamenti epocali nei mercati finanziari.


Il primo cambiamento ha a che fare con il concetto di rischio.

In quegli anni cominciarono ad apparire, o meglio, ad essere utilizzati in grande scala strumenti come i derivati, il leverage, i junk bond (obbligazioni ad alto rischio) e altre invenzioni dell’ingegneria finanziaria.

Il tutto con la benedizione dei Nobel per l’economia e delle varie teste d’uovo accademiche, che con le loro eleganti formule matematiche convinsero il mondo (e i regulators, i controllori) che il rischio sui mercati finanziari si poteva ingabbiare e controllare con algoritmi e previsioni statistiche.

Queste nuove concezioni portarono in genere a una maggiore propensione al rischio da parte degli investitori, a livelli assolutamente impensabili fino a poco tempo prima.


Il secondo cambiamento epocale ha a che fare con i tassi di interesse.

All’inizio degli anni ’70, vari fenomeni macroeconomici e geopolitici (come l’embargo petrolifero dell’Opec) scatenarono l’aumento dei prezzi, cui in breve seguì una spirale inflattiva che venne combattuta per anni a suon di rialzi dei tassi di interesse. Ci volle Paul Volcker (banchiere centrale Usa dal 1979) per invertire la tendenza, dopo aver alzato i tassi di interesse fino al 20% nel 1980. E Bottavio ricorda con nostalgia quando anche da noi nei primi anni ‘80 i Bot rendevano il 20%...

Da allora i tassi sono praticamente solo e soltanto scesi per i successivi 40 anni.

Il che ha messo il vento in poppa ai mercati obbligazionari e azionari. Non voglio qui entrare nei dettagli e fare un trattato noioso, ma il fatto è che i tassi di interesse in discesa, per tutta una serie di motivi mettono il turbo all’economia (è più facile prendere i soldi in prestito, circola più liquidità…), alle obbligazioni e favoriscono la speculazione. La crescita dei mercati finanziari genera un senso di ricchezza che porta ottimismo e quindi maggiore disponibilità a rischiare.

Una grande accelerazione di questa catena di eventi si è avuta dopo la grande crisi del 2008-2009, quando le banche centrali invece di curare le cause hanno preferito far sparire i sintomi (come purtroppo avviene spesso in medicina), abbassando ulteriormente i tassi di interesse fino a livelli mai visti prima (negativi) e inondando il mondo di liquidità. Altro vento in poppa per i mercati. Ulteriormente rafforzato nel 2020-21, con la risposta delle banche centrali alla pandemia: inondare il mercato di soldi (trilioni e trilioni) e tenere i tassi a zero.


Quindi, secondo me l’andamento dei mercati degli ultimi 40 anni è stato fortemente influenzato dai due fenomeni che hanno portato i cambiamenti epocali:


1 - l’aumento della propensione al rischio;

2 - il costante calo dei tassi di interesse.


In pratica, ci siamo trovati in un periodo d’oro, con grandi stimoli all’economia, bassa inflazione (dovuta anche alla globalizzazione, che di fatto ha tenuto bassi i prezzi delle merci), pochi default, grandi sviluppi e rivoluzioni tecnologiche.

La crescita quasi costante dei mercati (con la formazione di bolle ed eccessi) ha portato gli investitori a una psicologia da “paura di perdere il treno” (che gli americani chiamano FOMO, Fear Of Missing Out), per cui tutti si sono precipitati a comprare le cose che salivano di più (anche se più rischiose).

Anche perché, con i tassi così bassi l’investimento privo di rischio rendeva meno di zero. Il che ha costretto anche Azzurrina, l’anziana risparmiatrice dai capelli azzurrini, a spostarsi su investimenti più rischiosi del solito.


Tutto ciò, come sappiamo, è stato smantellato nel corso del 2022.

Il contesto generale è cambiato radicalmente. Ora tassi devono risalire per forza, tornando semplicemente a un livello diciamo così nella norma (perché era anormale prima).

Il sentiment degli investitori nel corso del 2022 è passato da ottimista a catastrofista; la voglia di rischiare è sparita e molte bolle sono esplose, riportando molti asset sulla terra.

A vederla così pare proprio che, mentre il mondo aspetta che tutto ciò passi velocemente e si ritorni presto ai fuochi d’artificio e la festa ricominci, la realtà attuale stia invece dicendo che siamo di fronte a un cambiamento epocale, che segna appunto la fine di un’epoca.

Se così è, allora ciò che funzionava bene prima potrebbe non funzionare più così bene.

E le ripercussioni negative sui mercati potrebbero non essere così brevi come molti sperano.


Un altro anno o due come il 2022 e Zio Nino da Trapani detto Trapanino, smetterà di fare trading, di cercare i titoli del momento sulla cresta dell’onda, di precipitarsi a comprare sui ribassi, e si ritirerà con quel che gli resta a coltivare la vigna per fare il Nero D’Avola.

Padre Graziano disinvestirà tutti i fondi e le gestioni patrimoniali con i portafogli iper diversificati (e liquefatti) del Private Banking, e comprerà immobili da mettere a reddito (che poi verranno presumibilmente occupati da inquilini che non pagano).

La sua consulente, la Bella Figheira, privata delle provvigioni faraoniche degli ultimi anni, dovrà rinunciare a qualche intervento di chirurgia estetica per lisciare la pelle con effetto Ramses; quest’anno non potrà neanche comprare il nuovo suv Elettrico Esg biologico, e niente settimana bianca + crociera.

In pratica contribuirà a far entrare l’economia in recessione.

Bottavio terrà tutti i suoi soldi sul conto corrente, perdendo l’8% l’anno causa inflazione (ma dirà che è sempre meglio che perdere il 30% in un anno con i Btp).

Ilario il Funzionario verrà tartassato dai mega vertici mannari della Banca Traballa, per realizzare il budget vendendo alla signora Pina, a Nonna Abelarda e tutte le vecchine che passano dalla filiale (altrimenti deserta) i nuovi fondi diversificati anti-inflazione, con tripla commissione implicita, vincoli e penali d’uscita.

Mentre i F.lli Boscoli, continueranno (inascoltati) a dire: “Si vedeva chiaramente che sarebbe successo. Quando scende si vede”.


A proposito di previsioni… E ora che si fa?

Forse la cosa migliore, intanto, è porsi una domanda:


Cosa posso imparare da tutto quello che è successo di recente?


Mi vengono in mente alcune cose su cui vale la pena riflettere per trarne qualche insegnamento.


1 – Le certezze

Forse bisognerebbe prima di tutto ricordarsi che sui mercati non si possono avere certezze eterne. Le cose cambiano e a volte bisogna adeguarsi. Cambiare idea non è un peccato. Il peccato è cambiare idea ma poi non fare niente. Né si può investire basandosi solo sulle aspettative.

Negli anni ’60 tutti investivano sulle cosiddette “Nifty Fifty”, le azioni delle 50 aziende Usa considerate le migliori, le più profittevoli, in perenne crescita e inaffondabili. Parliamo di Polaroid, General Electric, Procter & Gamble, Gillette, Ibm, Coca Cola, Philip Morris, Revlon, Black & Decker, Kodak, Walt Disney, Xerox… che all’epoca venivano considerate “one decision stock”, cioè era sufficiente metterci i soldi e dimenticarsele. Le aspettative erano quindi fantastiche.

Solo che, a forza di andare di moda e dato che tutti le compravano con aspettative fantastiche, le loro valutazioni arrivarono a livelli di bolla, con il P/E alle stelle.

Il P/E (Price/Earning) è il rapporto Prezzo/Utili, cioè il rapporto fra gli utili di una società e il prezzo di mercato delle sue azioni. Per farla breve (e approssimando assai), è un parametro che dà un’indicazione per cercare di capire se un titolo è sopravvalutato o sottovalutato dal mercato.

Nel 1972 l’indice S&P 500 aveva un P/E medio di circa 19, mentre le Nifty Fifty volavano in media intorno a 42, con picchi di 90. Il fatto che fossero considerate sicurissime e inaffondabili le aveva rese super sopravvalutate. Le aspettative, appunto.

Poi però il vento cambiò: crisi petrolifera del 1973, inflazione, rialzi dei tassi, crollo dei mercati, cambio di umore e fuga degli investitori…

Le inaffondabili affondarono per molti anni e in alcuni casi precipitarono del 90%. E ci vollero molti altri anni prima che alcune di loro tornassero in guadagno (mentre alcune semplicemente scomparvero).


2 – Le previsioni

Bisognerebbe provare a liberarsi da certe idee e convinzioni che sono solo illusioni. Come quella di investire sulle previsioni. Dev’essere una cosa connaturata nel Dna degli investitori, dei risparmiatori, la convinzione che i consulenti (gli economisti, i gestori…) siano in grado di prevedere il futuro. Sennò, che ci stanno a fare?

Ma per dirla con Galbraith (un guru degli economisti):


“Ci sono due tipi di persone che fanno previsioni: quelli che non sanno e quelli che non sanno di non sapere”.


Ora, ad esempio, tutti vogliono sapere quando l’inflazione inizierà a scendere, quando smetteranno di alzare i tassi… Quando scende si vede, quando sale si vede, è il mantra dei F.lli Boscoli, che infatti investono con successo grazie alle previsioni basate sul senno di poi.

Tutti gli altri purtroppo, conoscono solo una piccola, infinitesimale parte del presente. Figuriamoci il futuro.

Ma noi insistiamo con il gioco delle previsioni. Forse senza renderci conto della difficoltà (per non dire impossibilità) di azzeccarle. Prendiamo ad esempio la domanda che tutti fanno:


L’inflazione ha raggiunto il picco?, quando inizierà a scendere?


Per rispondere (intendo rispondere seriamente, e non a caso come fanno in genere i guru) a una domanda del genere bisognerebbe:

a) Conoscere in anticipo le dinamiche di domanda e offerta di centinaia (se non migliaia) di materie prime,

b) le implicazioni sulla domanda di beni e servizi, sulla produzione, la catena distributiva le forniture di merci, con i fenomeni di eccessi o scarsità.

c) Bisognerebbe conoscere l’andamento futuro del dollaro, che ha un grande impatto sui costi delle materie prime e quindi su import ed export;

d) bisognerebbe sapere come si svilupperà il conflitto in Ucraina, con i suoi impatti sui prezzi energetici e alimentari;

e) bisognerebbe sapere come si comporteranno i governi e le banche centrali,

f) e quali saranno i prossimi sviluppi della pandemia.


In definitiva, con una domanda del genere, apparentemente innocente, stiamo chiedendo di prevedere il comportamento di migliaia, anzi milioni di esseri umani in risposta a un’infinità di eventi.

Già la maggior parte degli eventi è imprevedibile. Figuriamoci poi il comportamento delle persone in risposta agli eventi: doppiamente imprevedibile.


Il grande malinteso secondo me è che ci approcciamo all’economia (o meglio, ai mercati finanziari) come ci si potrebbe approcciare alla fisica, che è regolata da leggi precise e ripetibili.

Richard Feynman, un grande scienziato, diceva:


“Immaginate quanto sarebbe più complicata la fisica se gli elettroni avessero dei sentimenti”.


Il loro comportamento, influenzato da variabili psicologiche ed emotive, diventerebbe imprevedibile. E quindi addio alle leggi della fisica.

Tanto più che, bastano minime influenze e variabili per creare una catena di eventi che, partendo dal minuscolo porta enormi cambiamenti. Come spiegato nel famoso esempio del matematico Edward Lorenz:


“Il battito delle ali di una farfalla in Brasile può provocare un uragano in Texas”.


Ma noi, niente: siamo cocciuti. Per investire vogliamo le previsioni.

Forse perché, a posteriori, con il senno di poi sembrano così facili…

Come diceva Zio Nino l’altro giorno, guardando il grafico di Borsa del 2022: “Miii!…. Ma si vedeva chiaramente che alla fine del 2021 si era raggiunto il top dei mercati e da lì sarebbero scesi…”.

Quando scende si vede.



3 – Il breve termine


Le persone tendono a investire pensando che i prezzi delle azioni saranno influenzati dagli eventi. E gli eventi che riusciamo a immaginare sono tipicamente quelli a breve termine.

Il grande problema è che nel breve termine il prezzo di un titolo non è influenzato semplicemente da un evento, ma dalle reazioni della gente a quell’evento. E le reazioni dipendono dalle aspettative.

Quindi, ciò che conta non è tanto l’evento (su cui invece tutti i guru previsori si concentrano), ma le aspettative e la conseguente reazione all’evento.

Un evento può essere apparentemente positivo, ma siccome le aspettative erano eccessive allora la reazione dei mercati sarà negativa. E viceversa. Ecco perché è una pia illusione (secondo me) investire in base alla previsione degli eventi.

Infatti, ciò che nella maggior parte dei casi viene fatto non è un investimento, ma un’operazione di trading: operazioni basate su previsioni, ipotesi, aspettative.

E siccome queste vengono disattese nella maggior parte dei casi (in quanto imprevedibili), le operazioni successive per correggere il tiro saranno nuovamente sbagliate. Dando così il via a una dannosa catena di errori, all’inseguimento della previsione e del timing azzeccato.

Un noto gestore, Bill Miller, diceva:


“È il tempo, e non il tempismo, la chiave per costruire la ricchezza con le azioni”.


La maggior parte delle persone compra azioni non per possedere un pezzo di un’azienda (investimento), ma sperando sulla base di previsioni che in breve il prezzo salga per poterle rivendere (trading).

Chi opera in questo modo, oltre che cercare di indovinare le previsioni, le aspettative e le reazioni alle aspettative… comprando o vendendo presume anche di essere più intelligente e informato di tutte le persone che stanno dall’altra parte dell’operazione. Il che molto raramente è possibile, considerata la vastità della platea che compone i mercati finanziari, affollatissima di gente molto molto smart.

Un’indagine riferita al ventennio 1992-2012 mostra che l’investitore medio detiene un’azione per circa 6 mesi. Breve termine, appunto. Ma questo attivismo nelle compravendite lo danneggia, perché alle fine i suoi risultati sono inferiori del 3% annuo (nei 20 anni del periodo in esame, mica poco) rispetto a chi ha semplicemente comprato un indice di borsa senza mai toccarlo


Uno dei motivi è certamente che la ricerca del timing (entrando e uscendo dai mercati) porta a perdere occasioni importanti. Se infatti si perdono i giorni con i maggiori rialzi (e ne bastano pochi) la performance finale cambia drasticamente.

Secondo i dati del periodo 1999 - 2018 (periodo comprensivo di grandi crescite e grandi cali di Borsa), chi avesse investito 10.000 dollari sull’indice S&P 500 senza mai uscire dal mercato, alla fine ne avrebbe quasi 30.000 (+5,62% annualizzato).

Chi invece avesse perso anche solo i 20 giorni migliori di Borsa nei 20 anni, avrebbe alla fine 9.360 dollari (-0,33% annualizzato).


In pratica, perdendo 20 o 40 giorni di Borsa in 20 anni si passa da 30.000 dollari a 9.000 e 4.000.

Chilavrebbemaidetto.



4 - Il sentiment


Se si guarda al breve termine si rischia di rimanere ingannati dal sentiment, l’umore del mercato (e cioè l’umore degli investitori, e quindi le loro aspettative, paure, desideri…).

Ad esempio, in questi giorni sono tornate in voga le cosiddette “meme stocks”, le azioni di aziende in grande difficoltà, o sull’orlo del fallimento, che salgono a razzo perché ci sono gruppi di allegri scommettitori/speculatori che sui social si mettono d’accordo per comprare (e quindi far salire prezzo).

Così, se ad esempio uno guarda l’andamento di Bed Bath & Beyond, grande catena americana di prodotti per la casa, ultimamente in profonda crisi, potrebbe pensare che il peggio sia ormai alle spalle. Negli ultimi giorni le azioni sono salite del 180%.

Crisi superata, quindi? No, anzi, pare che l’azienda sia in trattative con i creditori per avviare la procedura fallimentare. Infatti, le sue obbligazioni con scadenza 2024 (dove non c’è stato l’assalto degli allegri speculatori social), oggi trattano al prezzo di 8, rispetto al valore nominale di rimborso a 100. Scontano quindi prezzi da fallimento imminente, con una perdita del 92%. Altro che rialzi azionari scoppiettanti:


Chi avrà ragione? Il mondo dei creditori (obbligazioni) o gli speculatori dei social media?

Ci vorrebbe un guru per una previsione.


Quello che mi dà da pensare è che in genere si dice che i bear markets (i mercati ribassisti) finiscono quando tutti sono scottati dalle perdite e disgustati dall’andamento indisponente dei mercati. Il sentiment è talmente negativo che la maggior parte degli attori del mercato non ha più voglia di rischiare, chi doveva vendere ormai ha venduto.

È a quel punto che la tendenza si inverte.

Ma se ciò è vero, allora il problema è che oggi c’è in giro ancora un sacco di gente (come quella delle “meme stocks”) che invece ha una gran voglia di rischiare. Gente ammaliata dalle bolle.




5 – La paura della volatilità


Non esistono investimenti che non abbiano oscillazioni, cioè volatilità. A parte, naturalmente, i fondi che Ilario il Funzionario propone alla signora Pina.

In genere, maggiori sono le prospettive di rendimento e maggiore la volatilità che si deve essere disposti a sopportare.

Purtroppo, l’eccessiva paura della volatilità porta spesso ad avere dei portafogli iper diversificati (la diversificazione non ha più senso e non dà benefici se diventa frammentazione) ed eccessivamente movimentati, inseguendo i trend di breve termine.

Ecco il risultato di un ventennio di tutta questa attività dell’investitore medio (Average Investor, in rosso nel grafico sotto, rilevata dai flussi di acquisti e rimborsi dei Fondi), risultato paragonato a decine di asset class. Rendimenti annualizzati:



L’investitore all’inseguimento delle previsioni e impaurito dalla volatilità ha ottenuto un risultato peggiore dei Bot a tre mesi (3 Month T-Bill), e comunque di quasi tutte le asset class.


Certo, bisogna vedere qual è il proprio orizzonte temporale. Ma, come dico spesso, se uno ha un orizzonte temporale di breve termine e poca sopportazione della volatilità, NON dovrebbe fare investimenti.

Bisogna ricordare che 1.000 dollari investiti in borsa nell’indice S&P 500 (o i suoi predecessori) nel 1926 e lasciati lì, nonostante le varie guerre (mondiali e non), recessioni, crisi, depressioni, le pandemie… oggi avrebbe 13.000.000 di dollari. Altro che inflazione.


Se 100 anni sono troppi, proviamo almeno con 10.

Alcuni anni fa pare che la grande casa di investimento Fidelity abbia fatto un’analisi interna per vedere nell’arco di 10 anni quali fossero stati i migliori portafogli dei suoi clienti.

Il risultato è interessante. Le performance migliori erano quelle dei clienti che avevano evidentemente dimenticato i loro investimenti (non movimentandoli mai), o semplicemente erano defunti e per qualche motivo il conto non era ancora stato disinvestito.


Non so voi, ma a me questa cosa fa pensare parecchio.


6 - Riepilogando


Nella maggior parte dei casi, una volta fatto un investimento (e non il trading), bisognerebbe trovare il modo di stare fermi e buoni.

E tenere lontane le mani dal portafoglio investimenti (e dal mouse). E gli occhi lontani dallo schermo del computer.

In questo caso è sempre valida la storia che circolava anni fa su come sarebbero state le fabbriche automatizzate del futuro. Semplicemente: un uomo, un cane e i computer.

Il compito del cane è di vigilare che l’uomo non si azzardi a toccare i computer. Il compito dell’uomo è quello di dare da mangiare al cane. Fine.


Penso che ci aspetti ancora un periodo volatile. Non sarà un affare così semplice e breve spurgare gli eccessi degli ultimi anni. Specialmente se davvero siamo nel mezzo di un cambiamento epocale della tendenza che ha dominato negli ultimi 40 anni.

Tutti ovviamente si augurano che la crisi finisca presto e tutto torni come prima.

Ma bisogna anche ricordare che siamo in mezzo a una crisi finanziaria, valutaria, economica, geopolitica, sanitaria…

Quindi probabilmente succederà come al solito: ci saranno le news e titoloni catastrofisti; poi per un po’ non se ne parlerà più (perché la gente si stanca); poi torneranno i titoloni senza speranza, e nel pieno del pessimismo cosmico le cose invece miglioreranno e tutto risalirà; poi gli esperti diranno che il peggio è ormai alle spalle e subito dopo un uragano ci investirà… E così via, in un tira e molla estenuante. E come spesso accade, può darsi che prima di migliorare le cose andranno peggio (e più a lungo) di quanto oggi ci si immagini.


Così, chi avrà seguito le previsioni o titoli delle news – cercando di fare il timing, e quindi il trading - si farà probabilmente più male di chi invece - dopo avere rivalutato la rischiosità, gli asset e i singoli componenti - dimenticherà il portafoglio e penserà ad altro.


Piuttosto che cercare di conoscere spasmodicamente gli eventi, sarebbe meglio cercare di conoscere meglio sé stessi, cercare di capire dove siamo, che tipo di investimento fa per noi, che cosa vogliamo… E più che altro cercare di capire onestamente se le nostre aspettative sono sensate o sono una fregatura.

Ricordando la definizione del Gap di Calman: la qualità della vita è data dalla distanza fra le aspettative e la realtà.


E ora che si fa?


Prima di tutto, per non essere ossessionati dalla volatilità e dall’andamento di breve termine dei Portafogli, bisognerebbe fare un esercizio per liberarsi dalle cosiddette distorsioni della contabilità mentale.

Tendiamo infatti ad avere una contabilità a compartimenti separati, che a volte non aiuta perché ci fa considerare in modo diverso il valore dei soldi secondo il “cassetto” mentale in cui li mettiamo.

Ad esempio, probabilmente quasi nessuno controlla il valore della sua casa con la stessa frequenza con cui controlla il valore del portafoglio di investimenti. Il che può portare alla percezione che gli investimenti finanziari siano più rischiosi e spesso meno redditizi degli immobili.

Percezione ingannevole: quest’anno ad esempio, come visto nel grafico prima, l’indice globale Real Estate ha perso molto più delle Borse. Chilavrebbemaidetto.

Altro esempio è quello di dare un valore diverso agli stessi soldi in base alla destinazione.

Prendete Bottavio. Se in una settimana gli investimenti scendono del 5%, lui comincia a paventare scenari catastrofici dove si vede a breve sotto un ponte con i mercati al collasso.

Ma se in una settimana la sua disponibilità di denaro scende del 5% perché ha portato la famiglia in una crociera de luxe, chissà perché la cosa non gli appare così catastrofica.

Altro errore quando si investe è quello di ragionare in valori assoluti e non in percentuale. Dire che 100.000 euro investiti stanno perdendo il 5% o 5.000 euro può fare una grande differenza nella percezione della perdita. Il che può portare a reazioni emotive e scelte affrettate.

Bisognerebbe ragionare in termini percentuali, altrimenti rischiamo di fare come la Signora Pina che, se resiste a un -5%, quando poi mentalmente trasforma la cifra in valore assoluto pensa: “Ah!, quante cose avrei potuto comprare con i 5.000 euro che sto perdendo!...” e, imbufalita, vende tutto. Subito prima che il valore inizi a risalire, ovviamente.


Detto questo, fra poco faremo una revisione dettagliata dell’andamento dei Portafogli Colorati nel 2022, che ovviamente non saranno stati immuni alla volatilità.

Qualunque sarà il risultato credo che mi consolerò conoscendo i risultati di blasonati gestori. Ad esempio, la crème de la crème dei money manager, con stuoli di economisti, consulenti, risorse infinite per ricerche, analisi e tecnologie, nel 2022 ha stampato un bel -17%. Mica male.

Sto parlando della Banca Centrale Svizzera, che dal 1906 investe il suo patrimonio oculatamente, e ogni anno distribuisce parte dei profitti al governo e ai vari cantoni. Nel 2021 ad esempio, aveva distribuito 6 miliardi di franchi.

Purtroppo, quest’anno la gestione ha accusato perdite per 132.000.000.000 di franchi (132 miliardi di franchi, che in euro è praticamente la stessa cifra), contro i 21 miliardi guadagnati nel 2021. Da +21 a -132, un bel volo. Si tratta della peggiore perdita nei suoi 115 anni di storia. E il governo e i cantoni sono rimasti a secco.


E ora che si fa?

Continuo a pensare che la cosa più importante sia la composizione dei Portafogli di investimento, piuttosto che la movimentazione nel breve termine o la ricerca del colpaccio. Oltre, naturalmente alla gestione del rischio.

Quest’ultima dev’essere a mio parere un mix fra gli stop loss e i trailing stop (in alcuni casi) e la diversificazione.

Che però a sua volta non deve diventare “frammentazione”, come fa la Bella Figheira con Padre Graziano, che ormai ha in Portafoglio 140 fondi, 83 fondi di fondi e 18 polizze.


Prima si diceva di esaminare e rivalutare gli asset che compongono il portafoglio. Ognuno di noi ha le sue esigenze, la sua situazione e le caratteristiche personali, e ovviamente qui non si fanno mai personalizzazioni.

Per quanto mi riguarda, continuo a pensare che un portafoglio ragionevolmente prudente e adatto al medio-lungo termine dovrebbe essere composto con una quota azionaria variabile fra il 20 e il 40%. Con all’interno una preponderanza di titoli di aziende super solide e super profittevoli, e solo in minima parte scommesse più speculative. E non mi faccio troppi problemi se una discreta quota è in dollari.

L’oro per me dovrebbe sempre essere presente, in una quota compresa fra il 10 e il 20%.

I bond hanno sempre senso e anzi, a maggior ragione dopo un anno orribile come il 2021, avere circa un 20-25% di obbligazioni secondo me ci sta. Preferibilmente solide e non troppo speculative (e senza esagerare con la duration).

Infine, gli asset di brevissimo termine, siano essi cash o bond con scadenza di circa 1 anno o poco più, servono sempre sia come cuscino per attutire la volatilità, che come riserva pronta all’uso in caso di buone occasioni da cogliere. Per questo secondo me vale sempre la pena avere un 20-25% in liquidità o simili.


Con i mercati ballerini, a volte si presenta qualche occasione.

Ad esempio, il colosso francese del lusso Kering (con marchi come Gucci, St. Laurent, Balenciaga, Bottega Veneta…) rispetto al picco del 2021 è ancora sotto del 25-30%. Forse perché il mercato si è preoccupato particolarmente per la situazione in Cina, che ha certamente impattato i risultati dell’azienda (che lì ha una forte presenza).

Ma penso che se si guarda un po’ più a lungo termine, questa potrebbe essere una buona occasione per comprare azioni in un settore come il lusso che è certamente resistente anche ai periodi di inflazione e oggi, nel caso di Kering, con un discreto sconto.


Un altro tema è quello dei bond. Dopo un anno orribile, provo a introdurre un fondo obbligazionario, che magari ce la caviamo.

Scelgo un fondo “ibrido”, che cioè investe in modo flessibile sia su titoli governativi che su bond corporate, sia investment grade che high yield. Con una connotazione geografica globale, il cambio coperto rispetto al dollaro (hedged) e un parametro di rispetto di alcuni criteri di sostenibilità. Negli ultimi anni il fondo si è comportato bene rispetto a un indice globale dei bond, il Bloomberg Global Aggregate Total Return Eur Hedged.

E qui però mi fermo, perché altre considerazioni sarebbero… previsioni.


Nel frattempo, rispetto all’ultimo aggiornamento è scattato un trailing stop. Il fondo bilanciato Mfs Prudent Wealth, dopo circa tre anni di onorato servizio ci lascia con un +20,4%.


Riepilogando:


- per il Portafoglio Giallo compro KERING, alla Borsa di Parigi (o Equiduct), isin: FR0000121485


- per il Portafoglio Verdolino compro:

JPMorgan Funds - Global Bond Opportunities Sustainable Fund A (acc) - eur Hedged,

isin: LU2081629425



A presto.



Giuseppe Cloza



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