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RENDERSI LIBERI






“In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere.” Yuval Noah Harari






L’altro giorno ho avuto una specie di folgorazione. D’improvviso mentre sfrecciavo sullo scooter, affaccendato di qua e di là, mi sono accorto (o forse dovrei dire “mi sono ricordato”) di quanto la mente sia tendenzialmente appesantita. Chilavrebbemaidetto. Come se non lo sapessi. Eppure c’è una sorta di assuefazione, per cui ti abitui e ti dimentichi degli effetti. Come quando consumi un sacco di caffè, che alla fine sei assuefatto. Se smetti di berlo per un po’ e poi un giorno te ne fai una tazzina, stai su tutta la notte schizzato a saltare come un grillo… Solo a quel punto realizzi quanto fossi assuefatto alla caffeina.


Così, abbiamo la mente assuefatta agli appesantimenti e alle complicazioni/preoccupazioni.

C’è questa voce interiore che ti parla in continuazione: i pensieri che ti dicono di preoccuparti, arrabbiarti, sentirti negativo e mai all’altezza, oppresso. È come avere dentro un inquisitore, che appena gliene dai l’occasione cerca di torturarti, perché secondo lui te lo meriti. Ma non sei tu a parlare. Quella è la voce degli altri, la voce del mondo negativo, che ti si è infilata in testa; da prima, da sempre. Dalla notte dei tempi.

E gli algoritmi in cui siamo sempre più immersi, quelli dei motori di ricerca, delle piattaforme social, alimentano questa voce. Vogliono farti trovare cose e notizie che generano sentimenti negativi per tenerti attaccato al computer e allo smartphone alla ricerca della “verità”. Inseguendo fili che diventano ragnatele per intrappolarti. Così possono venderti le pubblicità e accaparrarsi sempre più dati sul tuo conto.


Questa voce interiore ti leva il respiro e ti fa dimenticare la gratitudine per tutti i miracoli che sperimenti ogni giorno. Ti distrae, non te li fa vedere.

Ti fa viaggiare nel tempo, sempre in un passato di rammarico o in un futuro di incertezze e preoccupazioni.

Così, l’altro giorno, fermo a un semaforo ho avuto questa folgorazione che mi ha ricordato l’assuefazione che ci ingabbia. Forse ho finalmente ascoltato l’altra voce, quella vera, che viene dal profondo, dall’intuizione. E d’improvviso la voce dell’inquisitore si è zittita. Perché l’inquisitore in fondo è un codardo, che se lo smascheri si tace.

È stato un respiro di sollievo, come quando ti levi un peso. La pace si può trovare ovunque perché ce l’hai già dentro. Bisogna far tacere la mente per rilassarsi, respirare. Liberarsi dalla mente che ti imprigiona. Allora puoi finalmente vedere le cose con lucidità, apprezzare la semplicità della vita.


“Sapersi liberare non è niente: il difficile è saper essere liberi”, scriveva André Gide.


Perché quella voce che tormenta non è la tua. Quando le dai ascolto stai dando retta a opinioni altrui, le fai tue inconsapevolmente; ma poi gli dai anche fiato: parli e le rendi manifeste. Ma le parole hanno un effetto concreto sul tuo ambiente e sulle persone che ti circondano.

Con le parole che dici senza usare la tua vera mente, ma la voce che viene dagli altri, crei la tua realtà in un susseguirsi di cause ed effetti. E dato che la voce è tendenzialmente negativa, il fatto di ascoltarla ti porta in una realtà di pesantezza e negatività. Che a sua volta crea il lamento, la ricetta perfetta per peggiorare la situazione. Così, praticamente ignari, creiamo la nostra prigione.

Bisognerebbe zittire quella voce. O almeno riconoscerla: non è la tua, non la ascoltare. E spegnere la mente, infestata di pensieri che saltano di qua e di là come scimmie urlatrici.

Spegnere la mente, per essere liberi dalla mente che imprigiona.


Liberarsi significa tornare a vivere. Perché la voce uccide le piccole cose che sono la base per una vita soddisfacente. La voce ti fa vivere altrove, mentre le cose preziose ti passano accanto.


Te ne rendi conto, ad esempio, quando un giorno, seduto in macchina realizzi all’improvviso che non sei al solito posto; che la cucciola accanto a te sta guidando e tu invece sei seduto sul sedile del passeggero a supervisionare il suo foglio rosa. Ed io che nella mia testa sono rimasto al ricordo di quando mi aggrovigliavo con le cinture di sicurezza per fissare il suo seggiolino al sedile, mentre la puffetta riccioluta mi guardava incuriosita; o litigavo con leve e pulsanti per ripiegare il passeggino e infilarlo nel bagagliaio. Invece… siamo già qui?

Oh, please, voglio essere semplice e leggero. Voglio riuscire ad apprezzare le piccole cose giorno per giorno. Altrimenti la vita scorre e io non me ne accorgo.

Come quando senti che qualche tuo conoscente sta andando in pensione… In pensione? Io ero rimasto a quando cercava il primo impiego… Di già? Già fatto?


Per questo bisognerebbe dare un senso a quello che si fa. Allora sei presente nel momento che vivi, e anche la paura svanisce. Specialmente se fai le cose non solo per te, ma ti prendi cura anche di chi ti circonda.

Se dai un senso a quello che fai, un senso più profondo – e solo tu lo puoi decidere – l’oscurità della paura se ne va, perché si accende una luce che si chiama speranza. Che non significa augurarsi che in un futuro prima o poi le cose vadano bene. No. La speranza nasce dal vedere il presente in un modo diverso. Vedere oltre. Come dice il poeta Tagore:


“La fede è come un uccello che canta quando ancora è buio, perché sente che l’alba sta arrivando.”


Così si può vivere più leggeri, apprezzare le cose, affrontare i problemi con calma e fiducia. Con lucidità. La lucidità è potere. Serve a essere liberi.

In un mondo alluvionato di informazioni irrilevanti è difficile mantenersi semplici, rimuovere il complicato e il confuso per trovare l’essenziale.

Un lavoro che solo ognuno di noi può decidere di fare. Non ti aspettare di venire aiutato dal resto del mondo.

Come spiega lo storico Yuval Harari, la censura oggi non opera bloccando il flusso di informazioni, ma inondando le persone di distrazioni e disinformazione. In questo senso non siamo in un mondo libero.


Così, è difficile essere semplici, essere lucidi. Inondati come siamo è difficile coltivare la speranza, consentirle di germogliare dentro di te.

La semplicità porta la lucidità.

La semplicità non è superficiale ma viene dal profondo. E per andare a fondo ci vogliono il tempo e lo spazio.

Ci vogliono gli spazi vuoti e i tempi “morti”, il tempo per riflettere, rigenerarsi…

Inondati di cose non si riflette, non ci si concentra.

Non si legge un libro ma si scorrono le chat.

Non ci si sintonizza con l’intuizione, ma solo col wifi per vedere i Tik tok.

Non si ascolta, si blatera.

Ci facciamo alluvionare di cazzate e distrazioni, perdendo il ritmo, perdendo la pulsazione del ritmo naturale. Ma ci sono dei ritmi e dei tempi che non possono essere stravolti.

Una persona può costruire una casa in 100 giorni ma 100 persone non possono costruire una casa in 1 giorno. Ci sono comunque dei tempi da rispettare. Nove donne incinta non fanno un bambino in un mese.

Spegni la mente che borbotta, fermati, respira. Per renderti libero, come il poeta Li Po:


“Lontano da discorsi e discordie

la testa si appoggia

su un guanciale di nuvole azzurre”.




E ora che si fa?


Beh, ogni tanto bisognerebbe chiedersi cosa si può fare. Cosa è consentito e cosa no. Tornando al tema della libertà, si potrebbe prendere consapevolezza che oggi questo concetto, che ci pare scontato, è in realtà molto… vulnerabile.

Libertà di pensiero? Libertà di espressione? Libertà di impresa? Mmm… dipende. Oggi il mondo vive sempre più in (e dipende sempre più da) internet. Ma la rete, che ha rappresentato la rivoluzione nelle nostre vite, la democratizzazione dell’informazione, la circolazione delle idee, dei business… sta diventando potenzialmente sempre meno libera. Perché? Perché con il tempo il controllo si è concentrato nelle mani di poche aziende che hanno una sorta di potere di veto sulla tua esistenza in rete.

Google potrebbe cancellarti dal web, semplicemente facendo in modo che le parole chiave nel motore di ricerca non conducano più a te. Facebook (con Whatsapp e Instagram), Twitter e le principali piattaforme potrebbero oscurarti con un semplice clic bloccando il tuo account.

Apple e Google potrebbero impedirti di scaricare le app. Loro controllano praticamente il 99% di questo mercato, e oggi senza le app non vai da nessuna parte. Amazon ospita nei suoi server (tramite Amazon Web Service) circa il 50% dei siti nel mondo. Gli basterebbe un clic per oscurare il tuo sito. E se sei un’azienda che deve vendere online è bene ricordare che anche l’e-commerce è concentrato nelle mani di pochi provider con cui fare le transazioni.

In pratica oggi un pugno di dirigenti tecnologici ha un incredibile potere di controllo e “censura” (con buona pace dei Governi).

Potrebbe succedere a un privato, ma anche a un’azienda o a un’intera piattaforma social, se in quei vertici si decidesse che quella tale persona non piace, quell’azienda non piace, o tutti i follower di una piattaforma non piacciono.


A tutto questo, a proposito di Governi, aggiungiamo il fatto che in molti paesi si stanno studiando modi per eliminare il contante, il cash, sostituendolo con una moneta digitale, chiamata genericamente Cbdc (Central Bank Digital Currency). In questo modo il tuo portafoglio (il wallet) sarebbe nello smartphone, con il quale potresti fare ogni tipo di pagamento (se la batteria non ti tradisce). Figo, no? Bah, dipende. Può essere molto comodo, a meno che qualcuno non decida con un clic di bloccare tutto. E sempre che uno non ci tenga minimamente a conservare uno straccio di privacy.

Certi governi amano avere la possibilità di controllare tutto e tutti. In Cina, ad esempio, sfruttando la mania del digitale, ci sono piani per arrivare all’eliminazione del contante da qui a un anno. Già oggi oltre l’80% dei pagamenti avviene in forma elettronica. Che se uno ha letto “1984”, un po’ di pensieri gli vengono…

Non dico tutto questo per fare il complottismo, ma semplicemente perché è la realtà di oggi. In particolare, internet è diventata centralizzata.

Ecco perché si stanno sviluppando infrastrutture alternative, come quella definita web 3.0.

Il web 2.0 è nato nei primi anni del 2000 (in pratica con la nascita di Facebook), quando la rete, da strumento di lettura, ricerca e consultazione si è evoluta diventando interattiva. Consentendo quindi agli utenti di interagire fra loro.

Mi perdonino gli esperti: io non lo sono e magari dico qualche inesattezza. Ma il concetto che mi pare di aver… afferrato (“capito” sarebbe eccessivo) è che sta nascendo una nuova struttura della rete che sarà decentralizzata, quindi non più così facilmente controllabile dai pochi.

A oggi la tecnologia portante di questa struttura è quella della “blockchain”, dove per prendere una decisione è necessario un controllo, una verifica e un assenso simultaneo di migliaia di soggetti sparsi nel mondo. Questo può avvenire per la convalida di un contratto, di una transazione finanziaria, una compravendita immobiliare e un’infinità di altre cose.

Nella blockchain non ci sono entità centralizzate che possono fare o disfare a loro piacimento. Ad esempio, in una rete basata sulla blockchain non sarebbe facile come oggi oscurare il tuo sito o bloccare il tuo account. E le criptovalute sono nate proprio con quest’obiettivo: funzionare con il principio della blockcain per essere decentralizzate e non manipolabili.

Immagino che il tutto sia ben lontano dall’essere perfetto, che non sia tutto rose fiori… ma mi pare una cosa molto interessante. Su cui vale la pena di investire.



Bene, e ora che si fa?

Beh, dopo aver parlato di libertà e manipolazioni vorrei parlare di illusioni.

L’altro giorno negli Usa è deceduto Bernie Madoff, in carcere. Per chi non lo sapesse è stato l’architetto di una delle più grandi truffe finanziarie nella storia. Il buon Bernie era un rispettato guru di Wall Street, ed è stato anche presidente del Nasdaq. Il che gli dava una certa autorità, che tornava assai comoda per il suo vizio di abbindolare la gente e fregargli i soldi.

A partire dagli anni ‘90, in quasi 20 anni di onorata attività ha sottratto circa 18 miliardi di dollari (ho detto miliardi) a 38.000 vittime in 136 paesi del mondo.

Come ha fatto? Semplicissimo: promettendo un rendimento molto interessante, ma non stellare e improbabile (circa l’8% annuo), senza rischi, senza oscillazioni, senza volatilità. Senza avere mai un anno in perdita. La gente ci andava a nozze, in brodo di giuggiole, e faceva la fila per investire con lui.

All’inizio erano più che altro soggetti super benestanti di qualche cerchia newyorchese chic, ma poi l’industria finanziaria ha fiutato l’affare e ha cominciato a creare prodotti da vendere ai risparmiatori, e gestiti da… Madoff. Fu un successone.

Ma come faceva lui a garantire un simile andamento, una crescita costante dell’investimento senza cali e perdite? Diceva di basarsi su una particolare e segretissima strategia con le opzioni, intricandola e rendendola fumosa, che alla fine nessuno ci capiva una mazza. Tanto quello che interessava alla gente era il rendimento finale.

In realtà, molto più semplicemente, si trattava del vecchio sistema di usare i capitali degli ultimi arrivati per pagare gli interessi agli investitori precedenti. Schema Ponzi, catena di S. Antonio, chiamatela come volete: la solita storia. Solo che questa volta hanno fatto le cose in grande e anche molte blasonate banche, ignare della truffa (che forse controllare gli faceva un po’ fatica), ci hanno rimesso le penne. Miliardi, letteralmente; in buona parte per fortuna recuperati negli anni dai segugi del Madoff Victim Fund, istitutito nel 2009 dal governo Usa.

Per anni e anni i vigili controllori dei mercati finanziari hanno dormito sonni profondi (chilavrebbemaidetto), e solo nel 2008 la faccenda è venuta galla e il castello di carte è crollato. A quel punto gli americani hanno fatto quello che fanno sempre quando beccano uno che frega la gente: si incacchiano di brutto. Così Bernie Madoff si è beccato immediatamente 150 anni di prigione. Dopodiché, è il caso di dire, hanno buttato via la chiave. Ed è nella sua cella che l’altro giorno, a 82 anni è passato a miglior vita.

Da noi, a 13 anni di distanza, forse il processo sarebbe ancora in corso; oppure lui si sarebbe fatto un po’ di arresti di domiciliari nel suo lussuosissimo attico a Manhattan e poi una pacca sulla spalla e via.


Ma perché vi racconto di Madoff? Perché trovo affascinante la motivazione del suo “successo”. Lui prometteva una cosa impossibile, ma che è esattamente la cosa che tutti vorrebbero: un guadagno certo e senza rischi. Non un guadagno stratosferico, che avrebbe destato sospetti, ma un ottimo guadagno, indorato dal fatto di non rischiare mai. Se la signora Pina, che mi chiede sempre il 4% ma senza rischio, avesse incontrato Madoff gli avrebbe certamente dato in gestione tutti i suoi risparmi. Subito.

Pare che non ci siano speranze: le illusioni imperversano. E la mente si spegne. Ma si disattiva quella sbagliata: quella che dovrebbe aiutarti e non quella che ti tortura.

Oggi in particolare mi sembra di notare un aumento di quel curioso fenomeno per cui, persone che fino al giorno prima al massimo mettevano i soldi in un Buono Postale o un Conto di Deposito, improvvisamente si scatenano a fare trading. Vogliono guadagnare, subito. E sono convinte di riuscirci, credono fermamente che sia facile. Data l’attuale scarsissima volatilità dei mercati, queste persone pensano seriamente di poter guadagnare con investimenti speculativi senza rischiare l’osso del collo. Comprano di tutto: azioni, etf, criptovalute e anche i derivati. Te li vedi lì che, come trader navigati, dibattono sulla strategia di investimento, sull’opportunità di acquistare quel titolo di un’azienda che “si vede che sale”… Io cerco di tenermi alla larga. Osservo e penso a quanto durerà, prima che arrivi l’ora del macello.

Nassim Taleb (scrittore e trader) dava questa definizione:


“In breve, il mercato azionario è il luogo dove i partecipanti se ne stanno tranquilli in fila in attesa di essere scannati, convinti che la fila sia quella per l’ingresso a uno show di Broadway”.


Quel che sta accadendo oggi, secondo alcuni, è la formazione di un mix esplosivo: i piccoli risparmiatori si stanno riversando in massa negli investimenti rischiosi, come avveniva negli anni ‘20 prima del crack del 1929; mentre il sentimento di euforia crescente ricorda quello di fine anni ‘90 ai tempi della bolla di internet, esplosa nel 2000.

Secondo un’indagine di Bank of America, negli ultimi 5 mesi nei fondi azionari si sono riversati 572 miliardi di dollari. Per dare un’idea, negli ultimi 12 anni gli stessi fondi hanno raccolto in totale solo 452 miliardi. Se non è euforia questa…


Sono le convinzioni e le aspettative errate le cose di cui ci dovremmo liberare, negli investimenti come nella vita. Le illusioni, le credenze sbagliate portano sofferenze e problemi. Portano perdite.

Ad esempio c’è un sacco di gente convinta che le Borse debbano andare a braccetto con l’economia. Se l’economia va bene, i mercati salgono, e viceversa. Per questo un sacco di gente non si capacita di come mai, in piena pandemia con conseguente crisi economica, le Borse continuino a salire. Dovrebbero invece scendere, no? No, non necesariamente. I mercati e l’economia reale non sono sempre correlati. Per questo le previsioni in genere non servono a una mazza (tranne quelle infallibili dei F.lli Boscoli, ovviamente). L’economista Paul Samuelson la metteva così:


“Il mercato azionario ha correttamente previsto nove delle ultime cinque recessioni”.


Ma anche in questo caso non ce la facciamo a stare senza l’illusione delle previsioni. Quegli inutili oroscopi di breve termine. Anzi, per essere più precisi, non sono soltanto inutili. Sono dannosi. Per dirla con Warren Buffett, uno che di mercati se ne intende abbastanza:


“Le previsioni finanziarie di breve termine sono come delle cose tossiche, che andrebbero tenute lontane e rinchiuse in un luogo fuori dalla portata dei bambini e di quegli adulti che credono ancora nelle favole”.


Nel 2012 Jay Ritter, prof. di finanza dell’Università della Florida, ha pubblicato una ricerca dal titolo esplicito:

“La crescita economica è una buona cosa per gli investitori?


In questo paper vengono messi a confronto i dati della crescita del Pil e dei mercati azionari dal 1900 al 2011 in 16 paesi (che rappresentano il 90% della capitalizzazione, cioè del valore, di tutte le azioni trattate nelle Borse). Il tutto per cercare di individuare la “correlazione”.

Con questo termine si indica il rapporto fra due asset, cioè come e se le rispettive variazioni di prezzo hanno un’influenza reciproca. In pratica: cosa succede all’asset B (ad esempio il mercato azionario) quando varia l’asset A (ad esempio il Pil).

Per misurare questo rapporto si usa il cosiddetto “coefficiente di correlazione” che può andare da 1 a -1. Se il coefficiente è superiore a zero si parla di correlazione positiva (quando cioè i prezzi dei due asset si muovono nella stessa direzione) in un modo più o meno marcato. Ad esempio una correlazione positiva di 0,4 significa che se il prezzo dell’asset A varia di 1, quello dell’asset B varierà di 0,4 nella stessa direzione. Se uno varia del 10%, l’altro varia del 4%, e così via. Al contrario, una correlazione negativa significa, nell’esempio, che l’asset B varierà di 0,4 ma nella direzione opposta rispetto all’asset A. Quando uno sale l’altro scende e viceversa.

In questo grafico, ad esempio, la correlazione fra l’andamento del prezzo dell’oro e quello dell’indice S&P 500 nei momenti di calo superiore al 15%. A colpo d’occhio si vede che quando la Borsa (le barre blu) scende parecchio, l’oro tende a salire (correlazione negativa) o al limite va nella stessa direzione (correlazione positiva) ma in modo molto più contenuto:





La ricerca del prof. americano ha dimostrato che nei paesi sviluppati, nell’arco di oltre un secolo, i mercati azionari hanno una correlazione negativa di -0,39 con la crescita economica (misurata dal Pil): sale il Pil e scende la Borsa. E se l’economia va in recessione, la Borsa magari festeggia e sale. Anche nei mercati emergenti si conferma la tendenza. In questo caso l’analisi dal 1988 al 2011 mostra una correlazione negativa di -0,41.

Il fatto che la crescita economica non necessariamente comporti una crescita dei mercati è confermato anche dal rapporto fra l’indice S&P 500 (Borsa Usa) e quello delle Borse dei mercati emergenti (Msci emerging markets index), calcolato osservando gli ultimi 30 anni.

Se nel periodo 1989-2020 la crecita economica (il Pil) dei mercati emergenti è stata in media più che doppia rispetto agli Usa (+4,7% annuo contro +2,3%), quando si passa alla crescita degli indici azionari il rapporto cambia.

Dal 1989 al 2020 l’indice S&P 500 ha reso in media il 10% annuo, mentre l’indice Msci emerging markets solo l’8,7%. Può sembrare una piccola differenza, ma nel lungo periodo la magia dell’interesse composto (i guadagni che si accumulano generando ulteriori guadagni) dispiega tutti i suoi effetti sorprendenti, del tutto ignoti a chi investe con l’ottica “mordi e fuggi”.

100 dollari investiti 30 anni fa nell’indice Usa sarebbero diventati oggi 1.900; mentre 100 dollari investiti nei mercati emergenti sarebbero diventati “solo” 1.340 (sopportando anche una volatilità molto più elevata).

Con buona pace di chi continua a dire che nel lungo termine le economie a più alto tasso di crescita danno migliori risultati in Borsa.


Ciò che va bene per l’economia non è detto vada bene anche per le Borse. E viceversa.

Ad esempio, scavare buche per poi riempirle fa crescere il Pil (aumenta l’attività economica, l’occupazione, etc.), ma non fa certo bene agli azionisti di un’azienda che sta sprecando capitali in un’attività inutile e improduttiva. Per questo il mercato la punisce.

Oppure, i progressi tecnologici possono fare molto bene ai consumatori, ma non necessariamente sono una cosa buona per quelle aziende costrette a ridurre i prezzi e i margini di profitto a causa della concorrenza feroce. Basta pensare, ad esempio, ai trasporti aerei, sempre più efficienti, accessibili e sempre più economici… tanto che alla fine mandano in crisi le compagnie aeree (con le loro azioni in Borsa).

Insomma, ci possono essere vari motivi per cui economie e mercati non vanno necessariamente a braccetto. Allo stesso modo, il fatto che il mercato viva di aspettative non garantisce affatto che sia in grado di predire dove stia andando l’economia. Il tutto è reso ancora più opaco e falsato dalle manipolazioni di Governi e Banche centrali.

Per questo, invece di stare dietro alle previsioni dei guru, a leggere i segnali di fumo e interpretare l’oroscopo… preferisco cercare investimenti basati su business solidi, efficienti, produttivi, utili e possibilmente “intramontabili & inaffondabili”.


Bene, ma… e ora che si fa?

Prima si parlava dell’euforia e dei neofiti che stanno iniziando a fare trading.

Quindi? Significa che tutto sta per crollare e dobbiamo scappare?

Non ne ho idea ovviamente, altrimenti farei una previsione…

Però penso sia importante ricordare che 100 anni fa l’indice Dow Jones valeva circa 70 punti e oggi siamo a 34.000. Una crescita di… boh, fate voi il calcolo in percentuale. Nel frattempo ci sono state due guerre mondiali, varie crisi, catastrofi ed eventi traumatici, inflazioni, shock petroliferi, recessioni, pandemie…

Nello stesso periodo, l’oro è passato da 20 a 1800 dollari l’oncia.

Anche se si aggiustano questi numeri per l’inflazione, considerando quindi il reale potere di acquisto nei vari periodi, la faccenda si fa molto interessante. Bisogna infatti considerare che negli ultimi 100 anni il dollaro ha perso il 95% del suo potere di acquisto, mentre la Borsa è aumentata di 23 volte in termini reali.

Ma un orizzonte di 100 anni è un po’ lungo, si dirà.

Giusto. Allora si potrebbe dire che il Dow Jones 40 anni fa valeva 1.000 punti e 10 anni fa 12.000. E oggi 34.000.

Certo, questo è un discorso che, pur non costituendo una garanzia, può essere interessante per chi vuole investire. Non per chi vuole fare due tiri alla roulette.

Come diceva, appunto, Paul Samuelon:


“Investire è un po' come aspettare che la vernice asciughi o l'erba cresca. Se volete delle emozioni, prendete un po’ di soldi e andate a Las Vegas.”




E ora che si fa?


Sono più di quattro mesi che non compro niente. Qui a bassa Finanza non c’è bisogno di essere iper attivi per dimostrare qualcosa. Se non ho idee, o la situazione non mi convince, non faccio nulla. Questa volta, secondo me, ci sono alcune cose da provare.

Prima di tutto il cibo.

Il tema del cibo sostenibile l’ho trovato sempre interessante. In passato abbiamo acquistato un’azienda “bio” (Whole Foods Market) e un fondo specializzato (Pictet Nutrition). La prima è andata bene, il fondo è invece incappato nel crollo del marzo scorso, uscendo con lo stop loss.

Ricordo che su Bassa Finanza, nella sezione “Portafogli”, oltre a tutte le posizioni attuali dei Portafogli Colorati, ora aggiornate, se si va alla voce “Posizioni Chiuse” si trovano tutti i risultati delle operazioni effettuate dal 2010 ad oggi.

Vorrei tornare sul tema del cibo, comprando un etf che investe in aziende impegnate su vari fronti della sostenibilità. Ad esempio i packaging alternativi alla plastica; la tecnologia applicata alla produzione del cibo; la riduzione degli sprechi causati dalle inefficienze nella catena della logistica e dei trasporti, dove il 30% del cibo prodotto viene praticamente buttato via.

E poi la riduzione di emissioni di anidride carbonica; la cosiddetta “agricoltura di precisione”, con tecnologie per avere meno sprechi e meno inquinamento. Bisogna considerare che oggi il 70% dell’acqua dolce è utilizzata per l’agricoltura; e buona parte dell’inquinamento dei corsi d’acqua è causato dall’agricoltura. Il 15% di tutte le emissioni di gas serra nel pianeta è causato dagli allevamenti per la produzione di carne (basta pensare agli effetti della deforestazione); l’80% di tutta la soia prodotta non è usata per nutrire gli uomini, ma gli animali da allevamento. E il 65% degli antibiotici prodotti in Europa (75% negli Usa) non serve a guarire gli esseri umani, ma viene usato negli allevamenti intensivi di bestiame. Tanto per dirne alcune.


Un altro tema che trovo sempre interessante è la musica.

Oggi, in particolare lo streaming. Nei Portafogli abbiamo avuto due posizioni: Vivendi, che controlla Universal Music, cioè i diritti d’autore; e poi Spotify. Oggi ci riprovo con un titolo che fa parte del colosso cinese Tencent (già avuto in Portafoglio), leader nelle piattaforme social, pagamenti elettronici, gaming online e oggi anche musica (ha appena comprato il 20% di Universal Music, appunto).

Tencent Music Entertainment si potrebbe definire una sorta di Spotify asiatica (con tutti i distinguo del caso: ad esempio, pare che laggiù vadano pazzi per il karaoke online…). Quotata sulla borsa di New York da un paio d’anni, ha avuto negli ultimi tempi un calo consistente (-45% rispetto al massimo di marzo) dovuto a vari fattori. Non ultimo la recente severità del governo cinese verso i colossi di internet, da Alibaba in giù, che vengono multati a tutto spiano per pratiche monopolistiche, spaventando i mercati. In ottica speculativa, potrebbe quindi essere una buona occasione per provarci…


Poi passiamo al tema delle pulizie. La sanificazione, il gel, gli spruzzini, le salviettine…

Clorox è il colosso Usa per questo tipo di prodotti. Già presente anche in vari paesi del mondo, di certo si espanderà ulteriormente. Clorox è un’azienda che si è guadagnata la lealtà dei consumatori, che ne riconoscono il valore e la qualità del marchio. Si tratta quindi di una di quelle aziende dal business super efficiente, che ad esempio non deve svenarsi in pubblicità e marketing, perché ha già uno zoccolo duro di aficionados.

Sarà anche un titolo di quelli non di moda, non fighissimi, ma 20 anni fa valeva 30 dollari; 10 anni fa 70; 5 anni fa 120 e oggi 180. +50% solo negli ultimi 5 anni mi sembra un risultato niente male per un’azione noiosissima. Il tutto pagando anche un dividendo che oggi è del 2,4% annuo, da paragonare allo zero o giù di lì che offre un Btp. A me non dispiace affatto. Mi pare uno di quei titoli da tenere per il lungo termine, senza stop loss, senza preoccuparsi troppo.


Veniamo ora all’Europa.

Il fenomeno surreale dei tassi negativi, per cui i bond non rendono più niente e le banche praticamente ti fanno pagare se vuoi tenere i soldi sul conto, potrebbe spingere i risparmiatori sempre più verso le azioni. Che senso ha investire nelle obbligazioni se il rendimento è zero?

Allora comprerò un fondo che investe in azioni europee, ma in modo prudente (che di questi tempi non si può mai sapere): la componente azionaria pesa solo per il 30% del portafoglio. Lo abbiamo già avuto fra il 2017 e il 2018. Ora ci riprovo.


In ultimo le criptovalute…

In questi giorni i valenti tutori dei risparmiatori (Consob e Bankitalia) si sono improvvisamente destati mettendo in guardia dai pericoli delle cripto, specialmente per coloro che ci si buttano a capofitto pensando di fare il colpaccio. Invocano una normativa europea a tutela del risparmiatore. Che immagino si concretizzerà fra un paio di lustri con la creazione di un Prospetto Informativo di 15.000 pagine che la banca dovrà consegnare alla signora Pina prima che si butti sul Bitcoin (firmando che ha letto tutto e accetta tutto).

Per noi non è niente di nuovo: l’approccio è sempre quello di inserire in portafoglio una quantità che… si è anche disposti a veder svanire. Questa volta aggiungo Bitcoin al Portafoglio Giallo, e approfitto di un prodotto appena quotato che replica l’andamento di Ethereum, la seconda criptovaluta per importanza. Ethereum è anche (anzi, è principalmente) un importante progetto di sviluppo per la blockchain, cioè per quell’infrastruttura che potrebbe sostituire l’attuale rete centralizzata con una internet decentralizzata e quindi meno manipolabile.


Riepilogando…


Per il Portafoglio Giallo compro Wisdom Tree Bitcoin, quotato sul mercato tedesco Xetra, cod. isin: GB00BJYDH287


Per il portafoglio Azzurrino compro Clorox Co., quotata al Nyse, cod. isin: US1890541097


Per il Portafoglio Bianco compro VanEck Vectors Ethereum, quotato sul mercato tedesco Xetra, cod. DE000A3GPSP7


Per il Portafoglio Verdolino compro Etf Rize Sustainable Future of Food, quotato sul mercato tedesco Xetra, cod. isin: IE00BLRPQH31


Per il Portafoglio Bolla Fucsia compro Tencent Music Entertainment, quotata al Nyse, cod. isin: US88034P1093


Per il Portafoglio Grigio compro il fondo Allianz Capital Plus At eur, cod. isin: LU1254136416



Ricordandoci e avendo sempre ben presente che la festa potrebbe finire presto… vi saluto.

A presto.




Giuseppe Cloza













© 2009-2021 Bassa Finanza Le informazioni pubblicate non devono essere considerate una “sollecitazione al pubblico risparmio” né una promozione di alcuna forma di investimento ne' “raccomandazioni personalizzate” ai sensi del Testo Unico della Finanza, trattandosi unicamente di informazioni standardizzate rivolte ad un pubblico indistinto (cfr. art 69, comma 1, punto c, Regolamento Emittenti Consob e Considerando n.79 della direttiva Mifid 2006/73/CE) al fine di offrire un mero supporto informativo e decisionale agli utenti mediante l'elaborazione di un flusso informativo di dati, notizie, ricerche e analisi. Proprio perché le raccomandazioni fornite non possono intendersi personalizzate rispetto alle caratteristiche del singolo utente, potrebbero non essere adeguate rispetto alle conoscenze ed esperienze, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento e orizzonte temporale del singolo utente, elementi che infatti non sono stati presi in considerazione e valutati.



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